Una sentenza della Corte Costituzionale si è pronunciata sui limiti alle aee. Per chi cambia l’importo su pensione di reversibilità e cumulo?
Svolta per quanto riguarda le pensioni di reversibilità in caso di cumulo con redditi aggiuntivi. La sentenza pronunciata della Corte Costituzione si è pronunciata in merito. La decisione, quindi, riguarderà l’impossibilità di sancire una decurtazione superiore all’importo degli stessi redditi.
Il discorso sulla pensione di reversibilità può cambiare definitivamente dopo la sentenza della Corte Costituzione. La sentenza di riferimento è la 167/2022, la Consulta ha accolto la questione messa in luce dalla Corte dei Conti del Lazio. La Corte ha messo in evidenza l’articolo 1, comma 41, legge numero 335 del 1995. Legge che, appunto, si riferiva al cumulo tra pensione di reversibilità e redditi aggiuntivi.
Nonostante il giudice abbia considerato rispetto l’operato dell’INPS, questo non poteva più essere considerato adeguato. Il motivo principale è dato dal fatto che tale applicazione della legge del 1995 portava a delle riduzioni superiori all’importo dei redditi aggiuntivi. Fattore che ha portato a parlare di “espropriazione della pensione di reversibilità“.
La sentenza della Corte Costituzione in merito a pensione di reversibilità e cumulo redditi aggiuntivi
La Corte Costituzione ha ritenuto legittima la norma che permette una riduzione della pensione di reversibilità in base a redditi aggiuntivi. Sottolinea, però, che tale riduzione deve rispondere al criterio di ragionevolezza. Ragion per cui, la Corte Costituzione ha definito illegittimo l’articolo 1, comma 41 della Legge numero 335/1995.
Per questo motivo, la sentenza porta alla luce il fatto di non poter operare sulla decurtazione in maniera che il numero superi la concorrenza dei redditi stessi. La Corte, inoltre, sottolinea come tale agire sia in contrasto con la finalità di solidarietà che si lega alla reversibilità. Tale pensione, infatti, vuole dare un valore ancora più importante al legame familiare. Un legame che ha unito due persone per moltissimo tempo. Un unione che, con la legge del 1995, non era valorizzato ma quasi finiva per penalizzare il superstite.
Il cumulo deve sempre rientrare in certi limiti ma, ora, la pensione può subire una decurtazione fino alla concorrenza dei redditi stessi. La “clausola di garanzia” non permette di evitare che il taglio invada la misura dei redditi aggiuntivi della persona di riferimento.
La misura della decurtazione applicabile alla pensione
La Riforma Dini, legge 335/1995, stabilì misure precise di riduzione. In questo caso, si parlava di importi pensionistici cumulabili con i redditi del beneficiario. Il tutto seguendo la tabella F. Tale tabella diceva: redditi non superiori a tre volte il trattamento minimo annuale, pensione erogata per intero; tre e quattro volte il minimo, la pensione è del 75%; tra quattro e cinque volte, la pensione erogata è al 60%, oltre le cinque volte la pensione è al 50%. Tali riduzioni non si applicano quando nel nucleo ci sono studenti, inabili o figli minori.
In questo contesto, rientra la clausola di garanzia. Questa clausola permette la salvaguardia per quei pensionati che hanno redditi di poco superiore al limite della propria fascia. Lo scorso anno, il Tar del Lazio fu chiamato a valutare la posizione di una vedova che nonostante la clausola si vide applicazione una forte decurtazione. Il tribunale ha rimesso tutto alla Corte Costituzione perché c’era il sospetto della violazione del principio di ragionevolezza. In merito agli incrementi, la pensione di reversibilità ha visto un aumento che pochi conoscono.