Tra le tante possibilità di assunzione ci sono i collaboratori familiari. Questi possono anche non ricevere i contributi INPS. Ecco chi sono e che regole hanno.
Le realtà aziendali e lavorative nel nostro territorio sono varie. In alcune situazioni, piuttosto che assumere personale esterno si può fare affidamento sui collaboratori familiari. I costi e anche la formazione sono nettamente diversi tra le due situazioni. Come possiamo capire, il riferimento è per una persona molto vicina. Familiare, appunto.
Il rapporto, come possiamo immaginare, non sarebbe di natura classica. Si parlerebbe di una natura “morale”. Un legame solidaristico e affettivo all’interno del nucleo familiare. Proprio per questo motivo, come riportato dal sito money.it, l’imprenditore non sarebbe obbligato a pagare i contributi INPS su questi collaboratori.
La situazione, però, non è affatto così lineare come sembra. Ci sono delle regole da rispettare e, soprattutto, bisogna capire bene chi sono questi collaboratori familiari. Andiamo a vedere insieme tutti i dettagli e le regole che ci sono attorno a queste figure.
INPS, qualcuno potrebbe dover restituire soldi: ecco di chi si tratta
Chi sono i collaboratori familiari?
Prima di immergerci nella regolamentazione che circonda questa figura bisogna capire chi può essere considerato come tale. La specifica è verso i parenti e affini entro il terzo grado. Una piccola diversità riguarda il settore agricolo. Qui entrano in gioco i rapporti fino al quarto grado. Di seguito un piccolo riepilogo:
- Genitori e figli (primo grado);
- Nonni, fratelli e sorelle, nipoti. Questi intesi come figli dei figli (rapporto di secondo grado);
- Bisnonni, zii, nipoti figli di fratelli e sorelle, pronipoti figli dei nipoti di secondo grado (terzo grado);
Perché non ricevono il contributo INPS? Le regole
Come detto, impiegare nella propria azienda un collaboratore familiare permette di non avere obblighi sui contributi INPS. Questo avviene perché la prestazione è legata alla cd. “affectio vel benevolentiae causa“. Quindi, un rapporto di natura occasione con legame solidaristico e affettivo.
Le figure che rientrano in questo discorso sono essenzialmente due. La prima è l’azione fornita dai pensionati mentre la seconda è quella di un familiare impiegato in un lavoro a tempo pieno da un’altra parte. Fornendo solo una collaborazione occasione, il datore di lavoro non deve pagare i contributi.
Se invece non si ravvisano figure di questo tipo, ci sono altri criteri da considerare. Al nostro sostegno arriva l’articolo 21, co. 6-ter del D.L n. 269/2003. Successivamente convertito nel 326/2003. Tale articolo prevede che gli imprenditori artigiani iscritti all’albo provinciale possono, con deroga, fare affidamento a collaboratori occasionali. Non solo parenti fino al terzo grado ma anche chi ha il titolo di studente. Il periodo, però, non deve essere superiore a 90 giorni all’interno dell’anno.
INPS, cambia la pensione di invalidità: gli importi dal 2022
Si possono anche superare i 90 giorni ma a patto che le ore nell’anno solare siano di 720. Il rapporto occasione si considera, comunque, valido, se non si superano queste ore. Si ricordi che l’aiuto deve essere di natura morale. Infine, c’è l’obbligo ad iscriversi all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali.