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Buono fruttifero, il tribunale si pronuncia: rimborso da capogiro

Dopo la sentenza del tribunale civile, la risparmiatrice riceverà una cifra da capogiro legato al buono fruttifero fatto nel 1989: ma ecco di cosa si tratta

Denaro (fonte foto: loufre from Pixabay)

Una importante cifra sarà ricevuta dalla risparmiatrice che ha voluto riscuotere l’investimento fatto di un buono fruttifero nel 1989: a pronunciarsi sulla questione è stato il tribunale civile di Torino mediante una sentenza che porterà Poste Italiane a pagare alla titolare 26 volte il valore originario del buono.

Tale buono era di 5 milioni di vecchie lire, mentre, come si legge su IlGiornale.it, il concessionario si era detto dispeso a pagarle al massimo 28 mila euro.

La cifra che, secondo quanto si legge, sarà invece ricevuta dalla risparmiatrice è di 65 mila euro, con il giudice che ha appoggiato la tesi della ricorrente.

Una sentenza importante, spiega il Giornale che menziona la Repubblica, e dal grande valore per quei risparmiatori che si trovano nella situazione di provare a ricevere  importi relativi a rendimenti spettanti in virtù del possesso dei buoni fruttiferi postali che riguardando anche alcune serie emesso dopo l’anno 1986.

Buono Fruttifero, risparmiatrice e Poste Italiane: la sentenza del tribunale

Una cifra importante dunque verrà ricevuta dalla risparmiatrice in seguito alla suddetta sentenza, come spiega Il Giornale che ne approfondisce il tema, spiegando che tempo fa vi era la serie “Q” dei prodotti di investimento, cui erano legati tassi di rendimento più bassi rispetto a quelli del passato.

Tuttavia, si legge, talvolta Poste continuava ad usare quelli della serie precedente, ovvero la “P”, mettendo un timbro sopra i vecchi rendimenti per indicare quanto avrebbero poi fruttato nel corso del tempo.

Si legge su IlGiornale.it, però, che l’indicazione riportata relativa ai nuovi tassi faceva riferimento soltanto ai primi 20 anni di rendimento, e per tale ragione il titolare del buoni, una volta giunto il momento di incassare, di solito alla scadenza dei 30 anni, credeva di poter fare conto per gli ultimi 10 anni sui tassi della serie “P”, del 9 – 11 – 13 e 15%, rispetto agli 8 – 9 – 10,5 e 12% della serie Q.

IlGiornale.it spiega che Poste avrebbe puntato a pagare quelli più bassi; nell’anno 2020, viene riportato, ad esempio vi erano stati circa tremila risparmiatori che avevano avuto modo di presentare ricorso all’arbitro bancario al fine di poter vedere riconosciuti gli importi più elevati.

LEGGI ANCHE >>> SPID: cos’è e a cosa serve il sistema di Poste Italiane

La decisione delle Poste dalla primavera del 2020, si legge, sarebbe stata quella di continuare a pagare soltanto i tassi bassi e non le cifre maggiori, ritenendo che alcuni tribunali adesso dato sentenze anche a favore loro. A coloro quali non fossero stati d’accordo con tale decisone restava la soluzione di intraprendere un iter giudiziario facendo ricorso al giudice ordinario in sede civile.

Andando nello specifico di questo caso in oggetto, la sentenza ha visto la risparmiatrice avere ragione, considerata – si legge – la decisione di far pagare a Poste 37 mila euro in più in confronto alla cifra di 28 mila che in un primo momento aveva promesso alla risparmiatrice stessa, riguardo il buono fruttifero del 1989 pagato all’epoca 5 milioni di lire.

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