Maradona un anno fa ci lasciava improvvisamente lasciando un vuoto incolmabile nello sport e soprattutto nella cultura popolare.
Ho visto Maradona urlava lo stadio perché bastava quello per poter dire di aver scrutato, anche solo per qualche secondo, il calcio. Non era un giocatore normale Diego e lo sapeva persino lui. Lo sapeva sin da bambino, da quando muovendo i primi passi dietro ad un pallone a Villa Fiorito era già considerato il più forte.
Il 25 novembre del 2020 si spegneva Maradona, solo, nel letto di casa, trascurato, in maniera banale, quasi a voler bestemmiare contro quella straordinarietà che l’aveva accompagnato sin lì. La camera ardente è stata degna di un capo di stato, di un papa, con milioni di fedeli che avevano creduto in quell’idea di calcio accorsi a salutarlo per l’ultima volta.
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Con l’arrivo della morte persino la dicotomia che ha contraddistinto l’ultimo mezzo secolo di calcio si è dovuta piegare alle logiche del buon senso. Nell’ultima dedica al campione argentino, Pelè ha chiesto di tralasciare i paragoni e concentrarsi solo sull’amore. Un messaggio importante, che ha strappato via in un sol colpo anni di polemiche.
Nel 2000 un referendum della FIFA aveva decretato Maradona calciatore del secolo con il 53,6% dei voti. Un riconoscimento importante che ci ha riconsegnato la cifra di quanto lui fosse amato dalla gente. Un destino il suo particolare, che lo vedeva spesso scivolare indietro nelle classifiche stilate dal palazzo, salvo poi risalire in vetta in quelle decretate dal popolo.
Parlare di Maradona porta spesso a sfiorare la blasfemia, specie se si nasce a Napoli. Diego lì ha rappresentato il riscatto di un’intera città, che attraverso il calcio si è potuta sentire finalmente vincente. Costringere l’argentino nello stretto spazio di uno stadio però ci sembra quanto mai riduttivo.
La sua figura infatti ha travalicato i confini del calcio per diventare trasversale e internazionale. Non c’è uomo, donna o bambino che non lo conosca, ma da dove deriva tutto questo successo? Diego negli anni non si è mai tirato indietro quando c’era da fare qualcosa per i più deboli e soprattutto si è scagliato più volte contro le istituzioni del calcio.
Emblematico resta l’episodio consumatosi il 25 gennaio 1985. Siamo ad Acerra, un piccolo comune vicino Napoli, d’improvviso, su un campetto fatto più di fango che di erbetta si presenta Diego, accompagnato da alcuni compagni del club partenopeo. Si gioca un’amichevole dove l’argentino come sempre illumina il gioco, si diverte e fa divertire.
Dietro quello spettacolo un motivo significativo che ci restituisce la cifra dell’uomo Maradona. Un bambino malato aveva bisogno di soldi per pagarsi le cure e Diego aveva deciso di organizzare quella partitella contro il parere del Napoli per poter raccogliere soldi. Un gesto semplice eppure così straordinario perché quando si è in vetta è sempre difficile guardarsi indietro per afferrare la mano di chi lì in alto non c’è.
Oggi, ad un anno di distanza dalla sua morte, il mondo lo ricorda. A Carinaro, in occasione del Vega Food sarà allestita una mostra ad ingresso gratuito dal titolo “A D10S… un anno dopo”. L’evento avrà luogo dal 24 al 26 novembre. Il clou di questi giorni però è sicuramente rappresentato dalla presentazione della statua realizzata dall’artista Domenico Sepe, che verrà esposta fuori lo stadio che oggi porta il suo nome.
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Tutti questi eventi serviranno a ricordare l’immagine di Maradona e in un certo senso a tramandarla a chi non l’ha mai visto. Per citare Pasolini: “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione”. A queste parole noi ci permettiamo di aggiungere che Diego è stato ed è la traduzione umana di questo sport con i suoi eccessi e le sue debolezze.
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