Educare i figli non è semplice, non è e non sarà mai “impresa” da poco. Proviamo ad ascoltare alcuni metodi “scientifici” supportati da studi accurati.
Gli specialisti del mondo infantile, con i loro studi, con le loro ricerche, ci aiutano a ragionare meglio. A comprendere in modo più diretto, e con metodi “comprovati”, frutto di sperimentazioni e confronti, il complesso mondo infantile. Ma qui, in questo caso, ci riferiamo ai nostri figli, ad una parte di noi. Lo sono oggi, lo erano ieri, quando i tempi e i metodi imponevano modus operandi differenti, lo saranno in futuro. Perciò dobbiamo ricordare, sempre, che nessun libro o trattato potrà sostituire totalmente il cuore e l’essere se stessi con coloro che abbiamo messo al mondo.
E’ chiaro che se guardiamo alla nostra infanzia, ci viene istintivo provare a comportarci come i nostri padri e i nostri nonni hanno fatto con noi. Ma attenzione, ci rendiamo conto che non è possibile fare tutto questo? Ci rendiamo bene conto che magari, chi ha avuto la fortuna di crescere con nonni affettuosi, meravigliosi, che “ce le concedevano un pò tutte”, forse non sa che con i nostri genitori magari sono stati padri e madri severi e intransigenti? E allora come dobbiamo essere noi a nostra volta?
La società e i contorni differenti che essa delinea intorno a noi, modificando notevolmente i contenuti, ci racconta oggi di figli immersi tra video giochi, tablet e cellulari. Ragazzi più forti perché il mondo li vuole così, ragazzi e bambini più liberi, ai quali è difficile negare ciò che hanno gli altri e ciò che soprattutto fanno gli altri coetanei. Possiamo provare a “disegnare” le nostre regole, diverse da quelle di tutti gli altri genitori. Ma poi cosa succederà quando inevitabilmente si confronteranno, a scuola, per strada, alle feste, con ciò che altri hanno e con ciò che altri fanno?
Occorrono allora calma, serenità e anche polso fermo ovviamente in determinate circostanza. E non è certo affatto semplice gestire alla perfezione quel sottile equilibrio tra l’essere amici-affettuosi e l’essere i severi e rigidi per imporre regole ed evitare sin da piccoli pericolose anarchie.
Ci sono bambini che a otto anni rispondono con linguaggio scurrile e aggressivo ai propri genitori, di fronte a un diniego legittimo o un “comando”. Ci sono bambini che non rispettano momenti, orari, e regole, come lo stare a tavola, il non eccedere in giochi, richieste e capricci. Allora è chiaro che in questi casi occorre trovare una strada per porre rimedio. Ma pensare che ci siano regole valide in ogni circostanza e per tutte le situazioni, è paradossale.
Gli studiosi, i pedagoghi, ritengono che urlare (o peggio, ricorrere a punizioni fisiche) non solo non serve a educare un bambino, ma anzi peggiora i comportamenti scorretti dei figli.
A dimostrarlo è anche uno studio pubblicato nel maggio 2014 su “Child Development” da due ricercatori americani, Ming Te Wang e Sarah Kenny. Le urla anziché migliorare il comportamento dei ragazzi lo peggiorano e inducono stati depressivi e antisociali.
“Il bambino a cui abbiamo urlato, che abbiamo sgridato, strattonato, l’adolescente sminuito, umiliato, acquisisce un senso di sé svalutato. Svilupperà un’autostima molto bassa. Che lo farà stare male e che comprometterà il rapporto che i genitori vorrebbero avere con lui”, dicono gli esperti.
Ma perché i genitori urlano tanto? Secondo gli studiosi, il problema sta nella mancanza di un progetto educativo chiaro. Il genitore di oggi non è più, per fortuna, quella figura autoritaria del passato, e che si faceva obbedire perché fondava il suo rapporto con i figli sulla paura.
Questo modello è giustamente stato quasi del tutto abbandonato. Il problema è ora capire cosa non funziona nel modello educativo che l’ha sostituito. Perché appunto occorre una meravigliosa via di mezzo tra il genitore padre-padrone di un tempo, che in epoche diverse poteva essere credibile, e un padre o una madre troppo “permissivi”.
Madri e padri sono diventati più morbidi e teneri, non fanno mancare nulla ai loro figli. Fin qui niente di male. Ma la loro accondiscendenza verso il figlio, la disponibilità al limite del servizievole, si trasforma in pretesa. Attenzione pretesa nostra non loro! “Faccio così tanto per il mio bambino, perché lui non lo capisce?”. E quando i figli non si conformano a queste aspettative, e siamo nella normalità, il genitore troppo morbido ed emotivo, a volte non ce la fa più, si sente frustrato e finisce per perdere il controllo. Dalla calma si passa ad una rabbia improvvisa. Si reagisce urlando o peggio ricorrendo alle mani.
Alla base di questo comportamento sbagliato c’è un eccesso di accudimento, un eccesso di protezione, di coinvolgimento che viene fatto erroneamente coincidere con l’educazione dei figli. Ma che in realtà manda in confusione i bambini che non capiscono più i ruoli reciproci. Inoltre crea nei genitori, troppo emotivi e coinvolti, sentimenti di rancore quando i figli si ostinano a disobbedire.
Occorre invece pensare a un modello di educazione dove l’aspetto organizzativo prevalga su quello emotivo. Un percorso che costruisca una prospettiva efficace e precisa per mantenersi alla giusta distanza dai propri figli. Offrire loro la sicurezza di cui hanno bisogno ma garantire allo stesso tempo tutta l’autonomia possibile, la nostra.
L’educazione è un fatto organizzativo. Non si può lasciare l’educazione al caso. I genitori che non stabiliscono regole chiare sono in balia dell’emotività propria e dei figli.
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Quindi innanzitutto servono regole. E non comandi, precisano gli studiosi. Il comando è: “Stai seduto!”, mentre la regola educativa è: “A tavola si mangia seduti” . “La regola deve essere qualcosa di impersonale e oggettivo. Occorre evitare i comandi e stabilire regole oggettive. Quindi niente urla ma parole ferme, voce a tonalità normale, sguardo diretto. Va fatto dal primo momento.
Siamo davvero pronti ad essere genitori nel 2021? Forse non si è mai pronti in principio, tutti commetteranno errori. Ma con cuore e regole possiamo provare a dare il meglio.
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