Nino D’Angelo è e sarà sempre il caschetto biondo “sbarazzino” degli indimenticabili film degli anni 80, per la regia di Ninì Grassia.
Da “Il Ragazzo della Curva B, a “Pop Corn e Patatine”. Solo per citarne alcuni. Ne è davvero passato tanto di tempo, quando quel poco più che ventenne scugnizzo, con la faccia un po’ butterata dall’acne, riempiva le sale di tutta Italia. Molto più al Nord, racconta lui. Della serie “Nemo Profeta in Patria”, avere successo nella propria città, nella propria terra non è sempre facile.
Nino D’Angelo è e sarà sempre però anche uno dei simboli assoluti di una Napoli che, artisticamente, non si arrende mai. Perché nessuno come lui, meglio di lui, in 40 anni di carriera, è stato capace di reinventarsi. In mille modi diversi. Non solo dal punto di vista musicale, sposando negli anni generi sempre diversi. Collaborando con decine di artisti all’avanguardia, unendo il ritmo e le parole della musica napoletana a sound di ogni tipo. Riuscendo a superare “muri di cemento armato” di indifferenza, verso un un uomo, un cantante, che nella sua vita ha fatto di tutto.
Ha cominciato dal basso, dal nulla. Dall’essere un venditore ambulante di gelati, nella Napoli degli anni 70, nella Napoli degli ambulanti di sigarette di contrabbando. Quando quello era il mestiere legato a una illegalità per così dire nobile, tollerato per certi versi anche dalle forze dell’ordine. Perchè dava da mangiare a migliaia di famiglie.
Incarnando alla perfezione quei personaggi che facevano piangere e urlare le ragazzine di tutta Italia. Ma le sue canzoni, quelle dei suoi film, quelle da cui Nino “caschetto biondo” si è voluto gioco forza allontanare, dopo oltre 30 anni le cantano ancora tutti. Lui stesso non le rinnega. Come potrebbe. Impazzano sul web, così come quelle pellicole.
Ma come dimenticare anche il Nino D’Angelo attore di metà-fine anni 90, quando girò alcune commedie e cinepanettoni, fino all’essere scelto addirittura da Pupi Avati, il Maestro, in pellicole indimenticabili come “Il Cuore Altrove”. Dove interpreta in modo magistrale un barbiere partenopeo trapiantato al nord nell’Italia di inizio Novecento. Cercando di “educare” uno sprovveduto Neri Marcorè ad un comportamento più scaltro con il genere femminile.
Nino D’Angelo che diventa padre giovanissimo, Nino D’Angelo oggi “nonno rock”, Nino D’Angelo che riempie fino all’ultimo posto i concerti, come una star, quando si esibisce allo Stadio San Paolo. Il Nino D’Angelo eterno amico del Genio Maradona che piange come un bambino alla sua morte. O quello che sorride quando l’amico Pasquale Palma, comico, lo imitava a Made in Sud. Il Nino che ha sempre resistito alle cattiverie, alle critiche distruttive, e che è stato “figlioccio” di Mario Merola ben prima di altri. Non solo nelle pellicole, ma anche nella vita reale.
D’Angelo che arriva Oltreoceano, che viene apprezzato in Nordamerica, sia nella versione nostalgica che in quella moderna. L’uomo, il padre, il cantante, che non nasconde la povertà vera in cui ha vissuto, nei Quartieri, quelli veri. Dalla nascita a San Pietro a Patierno, fino ai primi anni dell’adolescenza.
In una intervista rilasciata al Corriere della Sera, alla giornalista Candida Morvillo, in una sorta di straordinaria confessione-racconto, come solo lui è capace di fare, Nino ripercorre la sua vita, la sua carriera. Parole forti. Si definisce uno “sdoganato” che non ha ancora passato quella dogana.
Per lui, nonostante un amore forte almeno di una parte della sua città, è stato più facile volare all’estero, su palcoscenici incredibili, che da ragazzino, quando abbracciava la fidanzatina dei suoi film, Roberta Olivieri, poteva solo sognare a occhi aperti.
“Andare in tv non è facile. Per anni, mi è stato più facile avere l’Olympia di Parigi, la Royal Albert Hall di Londra o il Madison Square Garden di New York, che un teatro a Napoli”. Frasi che fanno effetto. Fino a raccontare il dramma, quello vero.
Quando la Camorra, che vuole i suoi guadagni, spara sui vetri della sua finestra. E allora Nino D’Angelo, con il cuore pieno di dolore misto a rabbia, decide di andare a vivere nella Capitale. Di lasciare Napoli, a malincuore. Lui, figlio di quella terra così bella e difficile, lui che nei suoi film raccontava spesso di un ragazzo difficile, buono di cuore, costretto a rapporti con la malavita suo malgrado. Lui che Napoli l’ha sempre osannata, portata in cielo con le mani, che ha sempre “digrignato i denti” contro coloro che ne parlavano male con fastidiosi stereotipi.
D’Angelo ha 64 anni, quattro nipoti (tre maschi e una femmina), e vive ancora nella Capitale. Perché? Perché per ben due volte, nel 1986, spararono contro la sua finestra, a Napoli. Volevano soldi, volevano parte dei suoi guadagni di artista. Ma lui racconta che non andò via per paura, no, ma per il dolore, per la rabbia.
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E poi è tornato, a volte, nel quartiere dove è nato, ha girato tra la gente, la sua gente. Ha visto la loro disperazione, quella di alcuni di loro. Poi ha guardato dentro se stesso. E si è immaginato per un attimo ancora lì, senza la musica, senza gli inizi al cinema. Chiude gli occhi Nino, e si vede in una vita parallela. Oggi sarebbe ancora lì, non avrebbe girato il mondo, non avrebbe riempito gli stadi. E dovrebbe sbarcare il lunario, fare il parcheggiatore abusivo magari, vivere alla giornata. E così si è messo subito a scrivere una nuova canzone. Quello che sa fare meglio. Ringraziando Dio per quel talento che lo ha salvato. E anche per quel caschetto biondo, che ha lasciato il posto a una elegante chioma grigia.
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