Il grande artista italiano ha deciso di raccontare il suo stato d’animo. Parla di essere stanco in un mondo che non sente più suo.
In un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera”, Riccardo Muti, alla vigilia dei suoi ottant’anni, si confessa a cuore aperto. Il direttore d’orchestra italiano, nato a Napoli nel 1941, ha calcato i principali teatri europei, dirigendo numerose orchestre e sbalordendo centinaia e centinaia di persone.
Tuttavia, il grande artista adesso si trova in una situazione particolare. Durante l’intervista ha parlato di aneddoti del passato e di come oggi stia soffrendo la situazione che c’è nel mondo. “Mi sono stancato della vita – dice il maestro d’orchestra – Il mondo non può adattarsi a me, per questo preferisco togliermi di mezzo“, ha rivelato al giornalista.
A preoccuparlo è anche la situazione dei teatri italiani. Sottolinea il fatto che il nostro Paese è pieno zeppo di strutture del ‘700 e ‘800 che sono chiuse. Ha rivelato che ne ha discusso anche con il Ministro Franceschini, suggerendogli di darli in mano ai giovani. Ma il problema persiste ancora.
Riccardo Muti e la figura dell’artista
Durante la chiacchierata, il direttore d’orchestra e il fondatore della Riccardo Muti Italian Opera Academy ha parlato anche di come sia cambiata la figura dell’artista in questi anni. In particolar modo guarda a quella del maestro, dove ha notato che i giovani direttori d’orchestra non studiano più come una volta. “E’ diventata una professione di comodo”, ha rivelato.
Poi parla di un suo ipotetico funerale. Confida al giornalista che quando sarà il suo momento non vuole applausi, ma solo silenzio. Questo perché è legato al suo ricordo da ragazzino, quando andava ai funerali e le persone erano raccolto nel loro intimo dolore. Poi a volte c’era anche la banda o delle marce funebri. “Se qualcuno applaude torno a disturbarlo nel sonno”, ironizza l’artista partenopeo.
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Poi racconta che i primi applausi che ha sentito durante un funerale erano alle esequie di Totò e Anna Magnani. Per loro era un omaggio alle interpretazioni che hanno consegnato alla nazione, una sorta di gratitudine e riconoscenza.