Ayrton Senna ha scritto la storia della F1. Oggi però, 27 anni dopo la sua morte, permangono alcuni dubbi sul weekend di Imola.
In F1 esiste un primo e un dopo Ayrton Senna, quasi come fosse stato una sorta di messia sacrificato per la catarsi definitiva del proprio sport. No, non vogliamo essere blasfemi, soprattutto nel parlare del brasiliano che come sappiamo era molto religioso. Il 3 volte campione del mondo però ha indubbiamente rappresentato la svolta definitiva per il mondo delle monoposto.
Senza ombra di dubbio Ayrton Senna è stato il primo pilota che è riuscito ad attirare l’attenzione massiccia degli sponsor. Il primo driver che si è fatto brand. Un marchio così potente che vive ancora oggi, 27 anni dopo la sua morte. Un weekend maledetto quello di Imola che prima uccise Ratzenberger e poi la domenica del 1° maggio 1994 il brasiliano. In mezzo il terribile incidente di Barrichello, che pure fece tenere a tutti il fiato sospeso.
Da quel momento però la F1 ha detto basta, i piloti hanno detto basta. Troppi rischi, troppa negligenza. Per uno strano scherzo del destino infatti la Formula 1 ha dovuto vedere morto il suo più grande campione per capire che doveva cambiare. In questi anni sono stati fatti dei passi avanti enormi in termini di sicurezza.
Basti pensare che in F1, dal 1994 ad oggi, è morto un solo pilota, Jules Bianchi nel 2014. Nei 44 anni precedenti, invece, sono deceduti ben 43 driver. Un numero impressionante, una media di uno all’anno. I dati aggiornati alla fine della stagione 2020 parlano di un indice di mortalità nella storia di questo sport che è ormai sceso allo 0,0309.
Nonostante siano passati tantissimi anni permangono ancora alcuni misteri sulla morte di Ayrton Senna e sulle ore precedenti il suo decesso. Quell’anno la tv francese fece un accordo con lui per filmare un giro commentato in pista. Il lavoro fu svolto il venerdì del weekend di Imola, ma in quell’occasione una frase colpì tutti. Il brasiliano infatti all’improvviso affermò: “Un buongiorno particolare al mio caro amico Alain, ci manchi”. Il riferimento era chiaramente a Prost, che si era ritirato alla fine della stagione precedente. La stranezza? I due, sportivamente parlando, si erano sempre odiati.
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Il giorno dell’incidente Senna porta con sé una piccola bandiera austriaca da sventolare a fine gara in onore di Ratzenberger, deceduto il giorno prima. Un’altra stranezza di quella giornata fu il fatto che mentre attendeva in griglia non indossò il casco come invece di solito faceva. Ogni pilota infatti ha di solito una serie di riti che fa in maniera ciclica ad ogni weekend.
A differenza di quanto molti pensano, il brasiliano non morì direttamente per l’impatto, bensì per le lesioni riportate a causa di un puntone della sospensione anteriore destra che gli si conficcò nel casco sfondandogli la regione temporale destra. Negli anni successivi si è molto discusso sulle colpe di questo incidente. Una cosa è certa: non è stato un errore umano di Senna, passeggero incolpevole di una vettura impazzita.
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Secondo alcune perizie il piantone dello sterzo, modificato durante la notte, si spezzò durante la gara costringendo il brasiliano ad andare dritto verso il muro. Durante il processo, conclusosi con un nulla di fatto nel 2005, sono venuti fuori però alcuni atteggiamenti strani da parte della Williams, squadra per la quale correva Senna. In particolare misteriosamente sparirono le centraline elettroniche della FW16, inoltre furono cancellati gli ultimi istanti della camera-car del pilota.
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