Una lettera forse inaspettate, alla comunità ebraica, le scuse, la riflessione, la messa in discussione di ogni cosa.
Le scuse di Casa Savoia, dal pugno di Emanuele Filiberto, nipote dell’ultimo Re d’Italia. L’esilio, poi il ritorno nel nostro paese ed i graduale inserimento in quel paese che per anni ha sentito non suo. I contrasti, i conti da fare con la storia e con quella pagina barbara ed ignobile delle leggi razziali, sulle quali c’è la firma della sua famiglia. Una macchia indelebile, che però Emanuele Filiberto affronta, vuole e deve affrontare perchè certi conti prima o poi si saldano, e non è detto che da ciò, dal suo gesto nasca il perdono.
“Condanno le leggi razziali del 1938, di cui ancor oggi sento tutto il peso sulle mie spalle – scrive Emanuele Filiberto in una lettera indirizzata a quelli che chiama fratelli della Comunità Ebraica italiana. Chiedo perdono – continua – ma non mi aspetto perdono per «ciò che fece re Vittorio Emanuele III. Una firma sofferta, dalla quale ci dissociamo fermamente, un documento inaccettabile, un’ombra indelebile per la mia famiglia, una ferita ancora aperta per l’Italia intera”.
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“Condanno le leggi razziali”: non chiede di essere perdonato, ma assumersi le sue responsabilità
“Non voglio essere perdonato – spiega l’erede di Casa Savoia —. Ma oggi voglio prendere le mie responsabilità, condannare fermamente le leggi razziali. Un pentimento convinto – spiega – un passo oltre quello di suo padre? Mio padre Vittorio Emanuele mi lascia ora più libertà e voglio prendermi questa responsabilità per avviare un dialogo futuro”.
Fa i conti con la storia, i conti con un giudizio che ha sempre gravato sull’immagine della famiglia, il giudizio della storia e di quanti ne sono stati vittima. Il giudizio di un paese sporcato dalla follia razzista. Un paese che forse chiede ancora giustizia per questo, e chissà quando, riuscirà a dimenticare.