La triste storia di Joe che è stato cacciato di casa da tutta la famiglia solo perché omosessuale: la risposta dei genitori.
Una vita passata a subire l’ignoranza e le discriminazioni. La sua ‘colpa’? Essere omosessuale. Joe Conti, palermitano di Monreale, sin da ragazzino veniva inseguito fino sotto casa dai bambini del quartiere. Rincorso e deriso, quando le cose andavano bene. Poi, a complicare ulteriormente la sua vita, l’ignoranza e i dogmi religiosi della famiglia che lo ha cacciato di casa perché secondo i Testimoni di Geova, era un “perverso”. Come se davvero esistesse un Dio che si permetterebbe di giudicare i suoi stessi figli.
Joe Conti, ha raccontato il suo calvario a Fanpage. “Ho trovato le lettere appese alla porta della mia camera dove mia madre scriveva di suo pugno e mi sollecitava di andare via di casa e che se non avessi pulito minuziosamente, non mi avrebbe più dato da mangiare”.
La madre non accetta la sua omosessualità per le leggi scritte e inculcate da altri. “Ho trovato le valigie davanti la porta – racconta Joe Conti – tutti i vestiti tolti dall’armadio buttati sul letto, il letto senza più lenzuola. Più vattene di così … mandato via, cacciato via da otto anni, da mia mamma, da mio fratello e da mia sorella quasi rinnegato perché omosessuale”.
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Joe Conti è stato rinnegato da tutta la famiglia che fa parte dei Testimoni di Geova. Cacciato dallo stesso sangue solo perché gay. Non è la prima volta che raccontiamo episodi di discriminazione perpetrati da quella che molti più che una religione, definiscono ‘setta’. I racconti sono sempre drammatici.
“Ho sofferto di una gravissima depressione – continua Jo – che mi ha portato a diversi ricoveri ospedalieri dopo che la mia stessa madre mi ha detto: “Da adesso in poi tu devi stare solo”. Immaginate come può sentirsi un ragazzo o a una ragazza di 30 anni”.
I genitori del giovane hanno spedito a FanPage una lettera nella quale spiegano il loro punto di vista.
“Promuoviamo un messaggio di amore e speranza, non certo di odio e intolleranza, anche se non sempre riceviamo lo stesso trattamento. Noi non abbiamo mai chiesto a Giuseppe di scusarsi per la sua omosessualità, né mai lo faremo. Speriamo però che anche lui rispetti le nostre scelte e i nostri valori. Non riusciamo a capire perché nostro figlio abbia rivolto queste false accuse pubblicamente contro di noi e anche contro la nostra fede. Che sia tutta una trovata pubblicitaria volta ad attirare su di sé l’attenzione dei media e a promuovere così la sua carriera musicale? Magari sfruttando il fatto che i Testimoni di Geova sono un facile bersaglio, spesso vittime di pregiudizi e disinformazione? Ci auguriamo di cuore che conoscendo meglio i fatti, la stampa non si presti a questo strano meccanismo che sta facendo molto male alla nostra famiglia. Come genitori vogliamo che nostro figlio abbia una vita significativa, felice e più lunga possibile. Se lui vuole, il nostro !aiuto non verrà mai meno.
Caro Giuseppe, ricordati che ti amiamo molto e ti ameremo sempre. Papà e mamma”.
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