Il rischio di una crisi di governo è ormai alle porte, PD e M5s provano a guidare la transizione.
La crisi di governo è sempre più alle porte, e alla festa della discussione si sono aggiunti anche i due grandi esclusi: Zingaretti e Di Maio, con i rispettivi Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle. Nonostante il Ministro degli Esteri non sia più il capo politico del Movimento, lo spessore politico di Vito Crimi gli ha comunque permesso di tessere serenamente le fila della compagine in questi mesi. Esito di questo trambusto interno è stato il dimezzamento dei consensi.
Ormai nella maggioranza nessuno si fida più di nessuno. Non solo Conte e Renzi, che neppure si parlano, siccome il primo insegue da tre giorni il secondo che si nega persino al cellulare. Qualche sinistro scricchiolio si avverte anche nei rapporti tra il premier e gli altri suoi alleati, Di Maio e Zingaretti.
Sapendo che il vertice di ieri sul Recovery plan non avrebbe prodotto risultati, il ministro degli Esteri e il leader del Pd hanno proposto al capo dell’esecutivo di prepararsi a convocare per lunedì il Consiglio dei ministri. Il week end verrebbe sfruttato per verificare se c’è la possibilità di chiudere un’intesa con Italia viva: e questi margini — per quanto esigui — ci sarebbero ancora. La riunione di governo a inizio settimana sul Recovery plan segnerebbe perciò lo spartiacque: potrebbe servire a chiudere l’accordo per una transizione indolore dal Conte 2 al Conte 3 — previo il passaggio formale dal Quirinale — oppure decreterebbe la rottura con Renzi.
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Crisi di governo, anche Zingaretti e Di Maio alzano la voce: la posizione del democratico
Così ieri in direzione Zingaretti ha dovuto usare tutta l’abilità di cui dispone per tenere insieme i tanti Pd di cui si compone il Pd. Ha parlato di «rischio di elezioni anticipate», non le ha minacciate. Ha difeso il gabinetto Conte ma non ha escluso le altre strade, ponendo il problema sotto forma di interrogativo: «Un altro governo confuso? Trasformista? Trasversale? Tecnico? Non porterebbe nulla di buono all’Italia». Il leader dem ha evitato di esprimere giudizi ultimativi sulle varie opzioni, intanto perché devono consumarsi i passaggi di questa crisi e soprattutto perché sa che se si aprisse ora la discussione sugli scenari futuri, il partito potrebbe dividersi. La linea di Zingaretti ha garantito l’unità del Pd: l’accordo con gli altri maggiorenti è di affrontare dopo la questione del «dopo», semmai si dovesse arrivare alla crisi.