Il dramma della stazione metropolitana, l’ascensore bloccato e quel tentativo di salvataggio finito in tragedia.
Luglio 2015, stazione della metropolitana Furio Camillo, Roma. Un ascensore bloccata, all’interno madre e figlio di 4 anni. Il caldo torrido, e l’aria irrespirabile di chi è rinchiuso in pochi metri. Madre e figlio, impauriti, disperati, chiedono aiuto, chiedono soccorsi, ma la risposta è lenta, nessuno si muove, non arriva chi dovrebbe provvedere a liberarli entrambi. Un dipendente Atac, li in quel momento, tenta di risolvere la situazione, quello che vede e sente è troppo, e decide di aiutare, di dare una mano, di liberare madre e figlio da quell’incubo.
Forza le porte dell’ascensore, ma dopo qualche istante, il piccolo vola giù dall’ambiente interno della stessa ascensore. Un volo di 10 metri, il piccolo muore sul colpo. Oggi, la testimonianza dell’uomo, accusato di omicidio colposo, al processo che dovrebbe stabilire cosa sia realmente successo quel giorno, e fare giustizia, trovando un colpevole per quanto accaduto, se un colpevole, effettivamente, dovesse esserci.
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Morto in ascensore a 4 anni: il dipendente Atac, non era autorizzato ad agire
“Sì li volevo aiutare – ha spiegato nel corso dell’udienza il dipendente Atac – e ho sbagliato e mi porto questa cosa dentro di me”. Uno dei passaggi più significativi della deposizione dell’uomo davanti al giudice monocratico del Tribunale di Roma, Massimo Di Lauro. F.M, accusato di omicidio colposo, racconta di quanto quella vicenda pesi sulla sua stabilità emotiva e psicologica, e di quanto ancora oggi non si sia ancora ripreso dai fatti di quel tragico giorno di luglio del 2015.
Al processo la deposizione, inoltre, di un medico, consulente della difesa che ha spiegato quanto fosse diventata irrespirabile l’aria nell’ascensore per madre e figlio, considerata la giornata estiva. Poi quella di un rappresentante dell’ispettorato del lavoro che ha ribadito il fatto che l’uomo, non fosse autorizzato ad intervenire in quel caso.