La terribile vicenda raccontata da un collaboratore di giustizia, evidenziano l’orrore e la disumanità di cui è capace un uomo.
Una vicenda terrificante, un vero e proprio orrore, che ha coinvolto chi no ha voluto cedere alle minacce, alla sopraffazione, alla legge del più forte e prepotente che domina chiunque si metta sulla sua strada, magari intralciandone qualche affare. Maria Chindamo, è morta per non aver ceduto alle minacce, per non essersi arresa al sopruso di chi voleva comandare in casa sua, di chi ha fatto della prepotenza e della violenza, l’unico codice di vita.
Le parole di un collaboratore di giustizia, Antonio Cossidente, riferite alla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, che indaga sulla vicenda sella sparizione della donna, avvenuta il 6 maggio 2016 mentre si trovava nella tenuta agricola di sua proprietà di Limbadi, nel Vibonese. Le parole del collaboratore di giustizia arrivano da alcune confidenze fattegli da un suo vecchio compagno di cella, Emanuele Mancuso, capo dell’omonimo clan di Limbadi, tra i più potenti in tutta la Calabria.
LEGGI ANCHE >>> Malasanità in Calabria, muore dopo una setticemia trattata come Covid
LEGGI ANCHE >>> Striscia la Notizia, Brumotti e la Calabria: I bambini costruiscono le bombe
Maria Chindamo non si è piegata: “Fatta a pezzi con un trattore”
“Mancuso mi disse – cosi come riportato dai verbali – che per la scomparsa della donna, avvenuta qualche anno fa, c’era di mezzo questo Pinnolaro che voleva acquistare i terreni della donna, in quanto erano confinanti con le terre di sua proprietà. Emanuele Macaluso – continua – mi ha detto che in virtù di questo l’ha fatta scomparire lui, ben sapendo che se le fosse successo qualcosa, la responsabilità sarebbe certamente ricaduta sulla famiglia del marito della donna, poiché l’uomo dopo che si erano lasciati, si era suicidato. Mi disse – conclude – che la donna venne fatta macinare con un trattore e data in pasto ai maiali“.