Se si ammalano di coronavirus hanno una possibilità 10 volte maggiore di morire rispetto agli altri i pazienti affetti da sindrome di Down.
Lo studio delineato sull’American Journal of Medical Genetics e realizzato dall’Istituto superiore di Sanità e l’Università Cattolica ha mostrato che la mortalità per i pazienti di Coronavirus affetti da sindrome di Down potrebbe essere 10 volte superiore.
Non solo: lo studio dimostra anche che i pazienti hanno 5 volte le probabilità di finire in terapia intensiva rispetto agli altri pazienti.
La Sindrome di Down è una condizione genetica caratterizzata dalla presenza di tre copie del cromosoma 21 (e per questo nota come Trisomia 21).
I risultati di questo studio hanno portato un ovvia conclusione: se sia meglio richiedere al Governo che le persone affette da Sindrome di Down siano inserite tra i soggetti più a rischio e dunque tra i primi a ricevere il vaccino.
LEGGI ANCHE >>> Vaccino anti covid, Moderna sembra bloccare la trasmissione virale!
LEGGI ANCHE >>> Covid, vaccino Italia: si inizierà con 1,9 milioni di dosi!
Covid, I malati di Sindrome di Down hanno più probabilità di morire
Questo studio ha portato un certo allarmismo tra le famiglie dei malati di Covid con Sindrome di Down, i quali si stanno rivolgendo spesso all’AIPD (Associazione Italiana Persone Down).
Sulla questione è dunque intervenuta per placare gli animi, la Presidentessa di AIPD Tiziana Grilli che ha scritto una lettera per tranquillizzare queste famiglie: “Vorrei tranquillizzare le famiglie e tutte le persone con SD sul rischio di aumentata mortalità da COVID-19. “
Specifica la Presidentessa: Si è condiviso con questi Ricercatori che il dato consegue ad un’analisi statistica estrapolata da soli 16 casi di persone con SD decedute in Italia, confrontati con i dati di oltre 3400 schede di decessi di persone senza la SD.”
Ciò che risulta determinare la mortalità più elevata nella SD sono l’età superiore ai 50 anni, essere affetto da numerose patologie preesistenti non risolte, avere una condizione di demenza e non risiedere in famiglia.”