Non lo curano adeguatamente, c’è il Covid e gli altri malati passano in secondo piano, anche quelli che hanno il cancro.
Per i medici e tutti gli operatori sanitari non esistono malati di serie A o B. I pazienti sarebbero da curare senza distinzioni. Già, sarebbero. Il Covid ha rotto ogni meccanismo, anche quello più perfetto, ha spezzato un equilibrio che permetteva di tentare di salvare anche i malati più gravi, come quelli affetti da tumore. Se c’è un paziente contagiato, deve passare prima di te. E tu muori, a 27 anni.
Vallo a spiegare un giorno ai suoi figli piccoli che papà è morto perché c’è il covid ma di covid non è morto. Lo sfortunato ragazzo inglese di Leeds, Sherwin Hall, è un’altra vittima collaterale del coronavirus: i ritardi nella diagnosi e nel trattamento dei tumori – causati nei dall’ingolfamento e dall’impreparazione degli ospedali, in particolare durante la prima ondata della pandemia – continuano a mietere vittime, nel Regno Unito ma anche in Italia.
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Muore di tumore a 27 anni: rimasto senza cure adeguate, ha atteso mesi per un esame
Sherwin aveva denunciato pubblicamente di aver dovuto attendere più di due mesi prima di potersi sottoporre ad una risonanza magnetica poi rivelatasi nefasta: si trattava di un tumore della pelvi renale e di svariate metastasi ai polmoni. A dare la notizia della morte del giovane. Ha raccontato come il calvario del marito fosse iniziato il 23 marzo, quando aveva accusato i primi malesseri alle gambe. La cura a base di antibiotici che non aveva fornito gli effetti sperati, l’arrivo del Covid e il suo grave problema messo da parte.
Dopo 13 visite finalmente Hall era stato sottoposto a risonanza magnetica che aveva fotografato un quadro clinico drammaticamente compromesso. «Sarebbe potuto essere ancora vivo», ha detto la moglie, avanzando il macabro sospetto di ritardi fatali, sospetto respinto dai responsabili dell’ospedale di Leeds, secondo i quali il caso è stato seguito – malgrado le difficoltà – nel rispetto delle linee guida.