Paolo Rossi ci ha lasciati a 64 anni. Seguiva ancora il calcio ma non gli piaceva più quello italiano. Aveva un sogno.
Paolo Rossi ci ha lasciati a soli 64 anni. Seguiva ancora il calcio, come opinionista prima per Mediaset e poi per la Rai. Ma non gli piaceva più il calcio italiano, se voleva guardare partite emozionanti sceglieva altri campionati. “Il calcio lo vedo quando posso e non mi diverte granché, almeno quello italiano. Troppo tatticismo. Per lo spettacolo, meglio guardarsi le Coppe internazionali. Barcellona-Real è il calcio che non morirà mai» – raccontava in una lunga intervista a Repubblica, a margine dell’uscita di “Ho fatto piangere il Brasile”, il suo libro.
Lo ha scritto con il giornalista Antonio Finco. Ci ha messo un pò a scriverlo, e c’è un motivo. «Perché non volevo le solite memorie commerciali, oppure il libello con lo spunto polemico messo apposta perché se ne parli. Nessuno si aspetti scandali o rivelazioni clamorose. Si trattava di scrivere la storia della mia carriera, che è anche quella della mia vita, e per farlo servivano pazienza, memoria e voglia di verità. Ci abbiamo messo due anni e sono soddisfatto delle parole usate, mi sembrano giuste».
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Paolo Rossi e il messaggio nella bottiglia: “spero la aprano i ragazzini, mi sono rivolto a loro”
Il messaggio che Paolo Rossi ha voluto dare con il suo libro, è che con la volontà e con il cuore, tutto è possibile, anche con un fisico piccolo piccolo. Il suo messaggio nella bottiglia era rivolto ai più giovani, come confidava a La Repubblica. “Di sicuro volevo che quella bottiglia la aprissero i giovani, i ragazzini. Spero che lo trovino istruttivo, mi sono rivolto soprattutto a loro». Il messaggio di Paolo Rossi è una morale. “Uno qualsiasi, uno normale, può farcela. Non ero un fenomeno atletico, non ero neanche un fuoriclasse, ma ero uno che ha messo le sue qualità al servizio della volontà. Mi pare un buon messaggio, non solo nello sport».
Il titolo “Ho fatto piangere il Brasile” non è casuale. “Io sono il centravanti che fece tre gol ai brasiliani – raccontava Pablito – Sono anche altre cose, ma essenzialmente quella. Mi rivedo con la maglia azzurra numero venti, e mi fa piacere perché la Nazionale unisce mentre le squadre di club dividono. A volte passano anni senza che mi arrivino telefonate speciali, ma quando mancano due mesi al Mondiale comincia a squillare il telefono. E tutti mi chiedono del Brasile, anche se è passata una vita».
Che vita? «Bella, senza nostalgia né rimpianti».