In un’intervista a Libero Quotidiano, il legale Annamaria Bernardini De Pace spiega la necessità di un’educazione al contrasto della violenza. Per uomini e donne.
“Oggi il politicamente corretto non consente di parlare delle donne come di persone che si possono difendere. E per questo io lo detesto”. Parola di Annamaria Bernardini De Pace, avvocato matrimonialista e interlocutore di Libero Quotidiano in una lunga intervista sul tema della violenza sulle donne. Argomento delicato, oggi come oggi fortemente al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica.
Specie dopo l’onda lunga del #Metoo, seguita al Sexgate che ha travolto Hollywood nel 2017. Ma, al quotidiano di Pietro Senaldi, l’avvocato mette in guardia da questo come da altri movimenti: “Quello che è orrendo è che il #metoo, e tutte queste denunce arrivate con ampio ritardo, hanno dato l’immagine che le donne siano tutte delle dementi senza coraggio”.
Ma non è solo questione di movimenti. Né di cultura o di demagogia. La violenza sulle donne è un problema da affrontare, anche attraverso l’educazione delle esponenti del gentil sesso a una propria coscienza. Che, in determinati contesti, si traduce nella capacità di dire no. Magari a partecipare a un party equivoco o dove circola qualcosa di pericoloso. Cose o, potenzialmente, persone. “Io voglio eliminare, o almeno ridurre, la violenza nel mondo – dice l’avvocato a Libero -; ma per prima cosa non voglio diventare vittima di violenza”.
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La questione è più complessa di quanto non sembri. Da un lato c’è l’istinto maschile peggiore, perché “in parte è vero che la violenza è insita nel maschio, in ogni specie animale è così”. Ma dall’altra, forse, quello che manca “è una cultura femminile contro la violenza, e la colpa è anche dei movimenti per le donne. Se le donne dimostrassero di essere più autonome, forse gli uomini sarebbero meno violenti”.
L’esempio dell’avvocato De Pace, che dice la sua dall’alto di quasi quarant’anni trascorsi al fianco delle donne vittima di violenza, è piuttosto chiaro. “Se ti violentano la domenica mattina mentre fai jogging al parco – dice nell’intervista – , non ti puoi rimproverare nulla. Ma se vai a un droga party, ti fai sequestrare il telefonino e assumi stupefacenti, ti sei messa in una situazione a rischio, che vivi o per ingenuità o perché ti interessava essere lì“.
In sostanza, educare a una cultura contro la violenza. Che se per gli uomini significa condanna in caso di gesti deplorevoli, per le donne si costituisce in prudenza: “Ciascuna di noi ha davanti a sé due compiti, uno a livello di genere, l’altro di singola persona. Mi batto in pubblico contro gli stupri per ridurli il più possibile, ma nel privato non mi posso comportare come se avessi già vinto la battaglia e devo attuare degli accorgimenti, sapere che se mi metto in certe situazioni, rischio anche se ciò che mi fanno è sbagliato e orribile“.
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