Quarant’anni senza John Lennon: il giorno in cui la musica morì di nuovo

L’8 dicembre 1980, Mark David Chapman colpì a morte l’ex Beatles. Una pallottola che ferì idealmente chi credeva nella forza dirompente della musica.

John Lennon
16th August 1966: John Lennon (1940 – 1980) of the Beatles, after making a formal apology for his controversial statement that the group were ‘more popular than Jesus’. (Photo by Harry Benson/Express/Getty Images

Da Imagine non erano passati nemmeno dieci anni. Ma da quelle note di uguaglianza e pacifismo qualcuno non era stato toccato. Pochi, sicuramente. Fra questi Mark David Chapman, che giusto quarant’anni fa decise di lasciar sfogo alla sua follia, estraendo un revolver per uccidere chi scrisse quella musica. E quelle parole. “I just shot John Lennon”, disse al portiere del The Dakota, cuore di New York, quando il cadavere dell’ex Beatles era ancora caldo.

Poi la lucida, gelida lettura de Il giovane Holden, in attesa della Polizia. Frangenti eterni, anche a distanza di quattro decenni. Come quando, il 16 agosto 1977, arrivò la notizia della fine di Elvis. O, il 3 febbraio 1959, l’annuncio dell’incidente aereo nell’Iowa. Il giorno in cui la musica morì.

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Quarant’anni senza John Lennon, da Memphis al mito

Da Liverpool al mondo. Con una chitarra e il sogno di Elvis Presley. Mendips, da zia Mimi, come Memphis: chioccia e terra di passaggio fra il ragazzo e l’uomo. L’amicizia con McCartney, Sutcliffe, Best, Harrison e gli altri. Le discussioni con Stu al Jacaranda. I Quarrymen e la voglia di rompere la parete della borghesia british a colpi di note. Poi i Beatles, il Cavern e la tournée in Amburgo.

In mezzo, la perdita di sua mamma. Per la seconda volta, come raccontò lui stesso: “I lost my mother twice. Once as a child of five and then again at seventeen”. Una volta da bambino, un’altra, quella definitiva, a 17 anni. Un incidente stradale, fatale, proprio quando il giovane John aveva iniziato a riallacciare un vero rapporto con lei.

Più o meno dieci anni. Un successo strepitoso, una vera e propria “beatlemania”. Le persone imitano lui, George, Paul e Ringo come John, da ragazzino, imitò Elvis. Capelli a caschetto, vestiti bene, in un periodo di transizione che avrebbe anticipato la grande rivoluzione giovanile degli anni Settanta. L’irruzione del Vietnam e il pacifismo, l’amore per Yoko Ono, la Plastic Band che non fu fatta suonare a Woodstock (e per questo non suonarono nemmeno loro) e la fine dell’esperienza coi Beatles, nel 1970. Alle spalle, capolavori come Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, Yellow Submarine e Abbey Road.

L’inizio di una nuova vita, fra pacifismo e non violenza. Imagine, album da solista, appena un anno dopo il tramonto dei Beatles. “Immagina che non esistano le nazioni… Niente per cui uccidere o morire“. Il suo testamento, nove anni prima della fine. Una pallottola, come per Gandhi e Martin Luther King. Niente ragioni ideologiche, solo una follia. Che quarant’anni dopo fa ancora male.

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