Arrestati dalle milizie di Haftar per aver violato le acque territoriali, le loro famiglie non ne hanno notizie da novembre
Non è solo un dossier geopolitico quello che la Libia rappresenta per l’Italia. In ballo, ormai da novantuno giorni, c’è il destino di 18 marinai. La somma degli equipaggi di due pescherecci tricolore, il Medinea e l’Antartide, fermati al largo delle coste libiche da una nave della flotta del generale Khalifa Haftar. Quasi immediato il trasferimento in carcere, con l’accusa di aver violato le acque territoriali del Paese.
La detenzione è a Bengasi, piena Cirenaica, centro nevralgico dell’area libica controllata per buona parte dalle milizie del generale. E dal Parlamento di Tobruk. Una di quelle aree dove si gioca il futuro della stabilità mediterranea e dove, fino a qualche mese fa, il nostro Paese indossava la veste di mediatore. La vicenda dei pescatori arrestati però, ormai prolungata da troppo tempo, sta di giorno in giorno chiamando in causa il Governo per dei passi concreti in direzione della loro liberazione.
Il blocco è avvenuto a 40 miglia dalle coste africane, dove le milizie di Haftar hanno posto sotto sequestro entrambe le imbarcazioni e condotto successivamente in carcere i 18 marinai. Tutti residenti a Mazara del Vallo, città di pescatori, in provincia di Trapani. Ultimo contatto con le famiglie l’11 novembre scorso. Un’eternità.
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Da allora praticamente nessuna notizia, se non annunci spot delle autorità libica circa la detenzione dei 18 uomini. Nella giornata di ieri era intervenuto il vicpremier del governo di Accordo nazionale guidato da Fayez al-Sarraj, Ahmed Maitig, il quale aveva rassicurato l’Italia circa la disponibilità libica nei confronti del nostro Paese. “Vogliamo vederli tornare a casa molto presto, ma allo stesso tempo dobbiamo rispettare le questioni legali dei due Paesi. Sono entrati nelle acque libiche illegalmente e sono stati fermati”.
Nonostante le parole del vicepremier, va anche considerato che attualmente i 18 pescatori si trovano in un’area controllata da Tobruk. A incidere, si spera, il cessate il fuoco deciso nel mese di ottobre, che ha parzialmente riportato la calma fra le due fazioni in lotta. E un’apertura più decisa al dialogo.
Nel frattempo, la Regione Sicilia ha deciso di stanziare un fondo di 150 mila euro per le famiglie degli equipaggi e per i due armatori dei pescherecci. Rispettivamente, 100 mila per le prime e altri 50 per i secondi, come risarcimento per i danni economici subiti dal sequestro del Medinea e dell’Antartide.
Un corrispettivo che, però, non smorza l’angoscia di quanti, ormai da tre mesi, sperano di rivedere, almeno per le feste di Natale, i propri cari. Imbrigliati in quello che il Ministero degli Esteri ha definito “un contesto delicato”, rispondendo a una missiva del Comune di San Benedetto del Tronto.
Una situazione che rammenta “la necessità di perseguire una stabilizzazione duratura della Libia. A tale riguardo, l’Italia assicura il suo pieno sostegno al Processo di Berlino a guida Onu in vista di una soluzione politica complessiva per il Paese”.
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