La vicenda ha dell’incredibile, e racconta di un caso di mala giustizia, con protagonista un imprenditore coinvolto in una intercettazione telefonica, condannato ingiustamente.
La vicenda è legata ad un omicidio di camorra. A quelle storie che nonostante tutto ancora esistono e chissà per quanto ancora esisteranno. Siamo ad Afragola, comune alle porte di Napoli, dove il 9 dicembre del 2006 viene brutalmente ammazzato Lugi Borzacchiello. Omicidio di camorra, lotte di potere, sgarri, posizioni non comuni, quello di cui sempre più spesso siamo abituati a leggere dalla cronaca nera.
Nel 2012 si arriva ad una svolta nelle indagini. Finiscono in manette alcuni affiliati al clan rivale della vittima ed un imprenditore dello stesso comune, colpevole di essere parente di alcuni soggetti che alla fine rientrano in un modo o nell’altro nella dinamica del delitto. Al centro dell’atto accusatorio, le parole di un collaboratore di giustizia, Pasquale Fiore, che nel racconto della sua verità, nomina anche l’imprenditore.
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In carcere da innocente per due anni, imprenditore risarcito: le reazioni
Si arriva al processo, ci sono delle intercettazioni ambientali che conterrebbero alcune frasi pronunciate dall’imprenditore che farebbero pensare ad una qualche connivenza, e poi ci sono le parole dei pentiti. Il giudice si esprime, e l’uomo viene condannato insieme agli altri a 30 anni di reclusione. Ma sa di essere innocente, sa che qualcosa non è andata come sarebbe dovuta andare e allora in automatico viene il ricorso in appello.
In questo caso però approfondendo il lavoro su quanto intercettato, si evidenzia il fatto che le voci presenti nel nastro non sembra siano da imputare all’imprenditore, nessuna di esse è la sua. Questo, insieme ad altre azioni che smontano alcune contraddizioni nelle dichiarazioni dei pentiti, smontano di fatto l’accusa verso l’imprenditore, assolto, e risarcito con quasi 200mila euro.
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