Buona con tutti, sognava di diventare medico: uccisa dal ‘buco’ che le ha fatto il fidanzato

Maria Chiara Previtali è morta in casa, era con il fidanzato che le aveva iniettato l’eroina che gli aveva chiesto come regalo per il compleanno.

Maria Chiara era una brava atleta, frequentava la palestra di Kung fu, era benvoluta da tutti non mancava di dare un aiuto o anche solo una parola di conforto agli altri. Questo è quello che dicono di lei amici e conoscenti. Ma da quando ha incontrato la droga, Maria Chiara non era più la stessa: sognava di diventare medico ma la sua voglia di un regalo maledetto l’ha uccisa. L’ultimo – e forse primo – buco le è stato fatale: l’eroina che l’ha uccisa gliel’ha iniettata il suo fidanzato, Francesco. “Me lo aveva chiesto lei come regalo – ha spiegato il ragazzo – se non lo faceva con me lo avrebbe fatto con un altro”.

Ora il fidanzato è accusato di omicidio preterintenzionale. Il ragazzo non si è mai nascosto, e ha provato a difendersi: “Le ho iniettato io l’eroina: 20 euro a metà. Voleva provare. Se non con me, l’avrebbe fatto con qualcun altro.Voglio sapere anche io perché io sono vivo e lei no».

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Maria Chiara sognava di diventare medico, uccisa dal ‘buco’: “è stato quel ragazzo a circuirla”

I genitori di Maria Chiara e anche gli amici pensano sia il fidanzato l’unico responsabile della tragedia. Maria Chiara era cambiata da quando lo aveva conosciuto. “Quel ragazzo me l’ha circuita” – ha detto sin dal primo momento, il padre.

I due fidanzati erano andati a Roma a comprare l’eroina, poi sono tornati ad Amelia, in provincia di Terni. Secondo il racconto del fidanzato Maria Chiara non si sentiva bene, ma ha incontrato delle amiche per un aperitivo. Poi i due si sono rivisti a casa di lui. «La notte aveva il respiro pesante, russava, ma era normale. Solo la mattina verso le 9 quando l’ho chiamata per andare al bar visto che a casa non c’era caffè ho visto che era bianca, l’ho trascinata in bagno e ho provato a rianimarla. Io non lo so se era viva, io non l’ho mai visto un morto. E poi ho chiamato il 118…»

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