Rosalia Pipitone fu uccisa all’età di 25 anni perché aveva avuto il coraggio di separarsi e di sfidare il padre padrone mafioso.
Lia Pipitone morì a 25 anni, uccisa per conto dello stesso padre. La sua colpa per la mafia era quella di essere una ragazza troppo ribelle, non convenzionale ai valori della ‘famiglia’. Suo padre Antonino era un uomo di Cosa Nostra, fedelissimo di Totò Riina. Fu ucciso anche il cugino di Rosalia, Simone, si diceva che i due si amassero di nascosto e che la ragazza lasciò il marito per lui. Simone fu costretto a buttarsi dalla finestra del quarto piano dopo avere scritto un falso biglietto di addio: “mi uccido per amore”.
Storie che ricordano il Medioevo eppure non così lontane dal nuovo millennio, erano gli anni ’80 e la mafia si era persa per strada, non esistevano più i valori sanciti col sangue per i quali bambini e donne non andavano toccati. Erano i tempi delle stragi di Falcone e Borsellino, dei bambini sciolti nell’acido. Della morte di Lia, appunto.
Rosalia morì a Palermo crivellata da una decina di colpi di pistola: era il 23 settembre del 1983. Il padre disse: “Meglio morta che separata”.
“Meglio morta che separata” Così un padre mafioso uccide la figlia: dovevano fingere una rapina
La sera del 23 settembre 1983 tutta Italia parlava di quella rapina finita nel sangue. Due mafiosi rubarono l’incasso di una farmacia, poi spararono ad una donna, era Rosalia Pipitone: missione compiuta. Nessun Corleonese gridò allo scandalo della figlia di un boss uccisa, segno che tutti sapevano e avevano dato il loro benestare.
Lia non aveva mai voluto sottostare alla autorità del padre: già da ragazzina scappò con il fidanzato che poi divenne suo marito ma il padre mafioso mandò due energumeni a prenderla per riportarla a Palermo. Poi è nato suo figlio Alessio. Nel frattempo il suo rapporto con il cugino, Simone Di Trapani, diventa oggetto di maldicenze. Quando Rosalia lascia il marito, tutti danno la colpa a Simone. Suo padre le sputò in faccia: “Meglio morta che separata”. E così fu.
Nino Pipitone non venne mai condannato per l’omicidio della figlia ma fu lui a dare l’approvazione a Nino Madonia che aveva deciso di punire quella ragazza troppo ribelle. Furono presi e condannati a 30 anni di carcere solo gli esecutori di quell’omicidio, Vincenzo Galatolo e Antonio Madonia. Il padre di Lia è morto, il nipote Alessio, figlio di Lia, ha scritto un libro: Se muoio sopravvivimi” e ha fatto riaprire il caso 29 anni dopo i fatti di Palermo. Ma il padre mafioso non verrà mai punito.