Il Consiglio superiore della magistratura ha deciso di archiviare la posizione della pm Alessandra D’Amore che aveva condotto le indagini sulla morte di Marco Vannini
Altro capitolo piuttosto amore della vicenda riguardante Marco Vannini, 20enne di Ladispoli che ha perso la vita in circostanze tuttora non chiare nel maggio del 2015 a casa della ragazza Martina Ciontoli.
Da allora ne sono successe di cose. Ribaltoni continui che non hanno ancora permesso alla famiglia Vannini di trovare quella giustizia che inseguono fin dal primo giorno della tragica dipartita di Marco.
L’ultima in ordine di tempo è l’archiviazione da parte del Csm della posizione della pm che ha coordinato le indagini, la dottoressa Alessandra D’Amore. A chiedere una valutazione del suo operato fu il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede dopo il mancato sequestro della villetta della famiglia Ciontoli a Ladispoli. Inoltre lasciò perplessità anche la scelta di non ascoltare immediatamente le testimonianze dei vicini di casa e di non richiedere l’intervento della polizia giudiziaria per i rilievi.
I giudici del Consiglio Superiore della Magistratura hanno però respinto le accuse, motivando la scelta con le seguenti argomentazioni: “Non sono state omesse le doveroso attività di indagine e nessun danno ingiusto è stato recato a parenti della vittima vista la completezza del materiale raccolto. Le indagini sono state complesse e accurate”.
I Vannini ai tempi avevano espresso le loro perplessità, ma non sulla natura delle indagini, bensì sulla valutazione delle prove che i giudici hanno poi attribuito.
Una vicenda lunga e ingarbugliata diventata tra i casi di cronaca nera più rinomati del panorama nazionale. Quest’anno ha vissuto una nuova clamorosa svolta. La Corte di Cassazione lo scorso 7 febbraio ha accolto la richiesta di procura e parti civili disponendo un nuovo processo d’appello iniziato l’8 luglio 2020.
Dunque andranno riviste le posizioni dei quattro accusati: Antonio Ciontoli, la moglie, il figlio e la figlia. Il capo famiglia era stato condannato in primo grado a 14 anni di reclusione per omicidio volontario e in secondo a 5 anni per omicidio colposo.
Secondo la procura però la morte di Marco si poteva evitare visti i ritardi nei soccorsi causati dalle bugie e dai depistaggi da parte di Antonio Ciontoli.
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