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Cronaca

Cinque volte al Pronto soccorso: “va tutto bene” ma muore per un tumore

Nessuno al Pronto Soccorso di Pordenone si era accorto della gravità del suo malessere, un uomo di 77 anni muore dopo 5 tentativi di essere curato. La denuncia della figlia.

Morire di malasanità. Perchè nessuno ha avuto l’accortezza di interessarsi sul serio a lui. E’ inamissibile morire perchè al Pronto soccorso ti dicono che “va tutto bene”. Marcello Gregolin, 77 anni, al Pronto soccorso è andato, non una ma cinque volte prima che qualcuno gli dicesse che quel malessere che via via era peggiorato, non era una sciocchezza, ma un tumore che gli aveva devastato il corpo con metastasi diffuse. 

Marcello è morto dopo un’odissea infinita alla ricerca di un medico che gli facesse una diagnosi. Non chiedeva altro che una diagnosi. Ma non è stato accontentato e se ne è andato tra l’indifferenza di alcuni medici.

A raccontare la storia triste e vergognosa del pensionato è la figlia Ilenia, munita di un fascicolo colmo di carte con le varie dimissioni dal Pronto soccorso di Pordenone, referti medici, analisi ed esami.

Dal 14 aprile scorso, primo accesso al Ps, è dovuto trascorrere un mese e mezzo prima che si decidessero a fargli una vista neurologica, dalla quale secondo i medici non era emerso nulla, e lo trasferissero il primo giugno al Policlinico San Giorgio dove non c’erano malati Covid.

Solo in quella struttura privata un medico ha deciso che bisognava fargli una tac e una risonanza con contrasto; esami che hanno evidenziato masse alla schiena. Poi il trasferimento all’ospedale di Udine, l’intervento chirurgico e le parole di uno specialista che fanno capire alla figlia che se lo avesse portato prima al Santa Maria della Misericordia ci sarebbe stata qualche speranza.

E ancora la radioterapia a Udine, il ricovero al Cro e infine l’ultimo viaggio alla Via di Natale, dove se n’è andato per sempre. «Continuo a chiedermi: si poteva salvare se avessero fatto subito quello che dovevano», si domanda la figlia Ilenia.

Cinque volte al Pronto soccorso, sempre dimesso, poi muore: la lunga odissea

La figlia di Marcello Gregolin, Ilenia, ripercorre gli ultimi mesi di vita di suo papà. «Il 14 aprile accusa un dolore toracico molto forte, va al Pronto soccorso, gli fanno un elettrocardiogramma, esami del sangue quindi gli dicono che è tutto a posto e lo mandano a casa.

Nel frattempo continua a peggiorare, tanto che spesso la notte mi precipitavo dai miei per dare una mano. Il 6 maggio torna al Ps per un forte dolore irradiato alle braccia, che poi prende anche la schiena e il torace. Elettrocardiogramma, esame del sangue e di nuovo a casa.

L’8 maggio – continua Ilenia – torna al Ps perchè il dolore è sempre più insopportabile: elettrocardiogramma, esami e torna a casa. Per i medici del Santa Maria degli Angeli è tutto a posto. Ritorna il 21 maggio e poi ancora il 30 maggio perchè il dolore è sceso fino ai polpacci e segnala una sensazione di gonfiore al petto che viene descritto come addominale.

Stava perdendo l’uso delle gambe – prosegue Ilenia -. E peggiora, sta sempre più male ma nemmeno il medico di base che sostituisce il suo gli dà ascolto. Il primo giugno non cammina più e viene portato con l’ambulanza al Ps, lamenta ancora un dolore diffuso al petto.

Gli fanno una visita neurologica mentre io come al solito aspetto fuori. Dopo 5 ore viene da me il medico che mi dice che papà è un caso strano, che non riescono a capire. Nel referto scrivono che aiutato riesce a camminare. Ma non riusciva nemmeno a muoversi. E la notte stessa lo trasferiscono al Policlinico San Giorgio».

Il medico che accoglie Gregolin ha in mano il referto dei colleghi del Santa Maria degli Angeli quando telefona proprio a loro e chiede spiegazioni, «visto che era evidente che mio papà non riusciva ad alzare la gamba o il ginocchio, come invece avevano scritto». Ed è solo in quel momento che al Policlinico decidono di fargli immediatamente una tac e una risonanza con contrasto.

Il 3 aprile la diagnosi: masse alla schiena, ma non si sa dove il tumore sia nato. «Il medico fa partire in emergenza il papà in Unità spinale a Udine – ricorda Ilenia -. Qui ci dicono che sono metastasi, diagnosi che sente anche il papà perchè è sulla barella. Viene riportato a Pordenone in Degenza breve.

Allora decido di chiedere un consulto privato a uno specialista e grazie a lui gli viene fatto un esame istologico. Il medico di Pordenone dice che la situazione è grave, bisogna riportarlo in unità spinale a Udine». Ma passano i giorni e il 77enne non viene trasferito. Ilenia decide di contattare il primario di Udine e il 9 giugno finalmente il papà torna al Santa Maria della Misericordia dove viene subito operato, quindi fa radioterapia e poi viene ricoverato al Cro. Ma le sue condizioni peggiorano sempre più e il 13 luglio muore alla Casa Via di Natale. «Poteva essere salvato? Poteva vivere di piu?».

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Rinaldo Ricci
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