Coronavirus, Conte le ha vietate: si potevano salvare molte vite

Il primo morto con Coronavirus, Adriano Trevisan, non sarebbe morto ‘di’ coronavirus, e come lui molti altri. Le indagini de La Nuova Bussola.

Nessun dato e nessuna inchiesta potranno cambiare l’epilogo di storie drammatiche: i morti durante la pandemia di coronavirus non torneranno ad abbracciare le loro famiglie.

Ma fare chiarezza sulle vere circostanze che ci sono dietro ai decessi può servire a capire meglio cosa sia realmente successo in piena emergenza. Molte vite in più potevano essere salvate.

Vo Euganeo, in Veneto, aveva un triste record: ha registrato avuto il primo morto di Covid-19: si chiamava Adriano Trevisan. E’ morto il 21 febbraio scorso, a 78 anni.

Come scrive La Nuova Bussola Quotidiana, dall’autopsia richiesta dalla Procura di Padova ed eseguita negli scorsi giorni uscirebbe un’altra verità: Trevisan presentava gravi patologie cronico-degenerative pregresse e il suo decesso, quindi, non sarebbe direttamente riconducibile al virus.

Parole già sentite, a dire il vero, perchè fin dall’inizio si è cercato di spiegare che il Coronavirus stava facendo quello che normalmente fanno anche altri microrganismi nelle persone fragili, con gravi patologie, come i virus influenzali o le polmoniti batteriche.

All’inizio dell’epidemia, l’Istituto Superiore di Sanità aveva provato a chiedere che la distinzione tra morti di Coronavirus e morti con Coronavirus, una distinzione fondamentale.

Ma il premier Conte aveva messo immediatamente a tacere i vertici dell’Istituto: questa distinzione non andava fatta. I numeri dei morti evidentemente dovevano levitare, per aumentare la paura.

Siamo stati ingannati?

Vò Euganeo
Come riporta ancora La Nuova Bussola Quotidiana, grazie all’esito dell’autopsia su Adriano Trevisan, forse l’opinione pubblica potrà capire di essere stata ingannata.
C’è un modo di dire tra i medici legali: i morti non mentono. Le autopsie, se eseguite fin dall’inizio dell’epidemia, avrebbero immediatamente portato alla luce quello che era il modo con cui il virus agisce e danneggia l’organismo.
Quando finalmente sono state eseguite un numero sufficiente di indagini autoptiche, è emerso un dato eclatante: il primo effetto del Covid 19 è la CID, Coagulazione Intravascolare Disseminata.
Cioè la formazione di “grumi” nel sangue e di trombosi. Solo in seguito si verifica la polmonite interstiziale doppia. Questo voleva dire che i trattamenti fino ad allora eseguiti negli ospedali, basati sulla ventilazione meccanica nelle terapie intensive, non erano risolutivi.
Al contrario, come ha spiegato il professor Valerio De Stefano, Professore Ordinario di Ematologia all’Università Cattolica “l’infiammazione in generale, le infezioni dell’albero respiratorio, l’ospedalizzazione e il ricovero in terapia intensiva sono tutti fattori di rischio per trombosi”.
Preso atto di questo, si è cominciato ad utilizzare l’eparina, un vecchio farmaco anticoagulante che si è rivelato efficace. La diminuzione della mortalità da Covid la si deve anche a questo aggiustamento di terapia  che è stato possibile da un’evidenza elementare: se so quali danni provoca il virus, posso agire impedendoglielo.
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