Alle 19 del 10 giugno 1981, il padre di Alfredino Rampi, allarmato dall’assenza del figlio, chiama la polizia. Da quel momento inizia un’agonia che durerà per 60 ore.
Erano le 7 di sera di una calda estate. Era il 1981, l’Italia era ancora sconvolta dal terremoto dell’Irpinia. Il padre di un bambino di 6 anni chiama disperato la Polizia: suo figlio Alfredo è scomparso.
Gli agenti arrivano a Vermicino, tra Roma e Frascati, e si rendono subito conto di cosa è successo: le urla del bambino provengono da un’apertura circolare del terreno, con un diametro di appena 30 centimetri. Da lì inizia un dramma che ha tenuto col fiato sospeso tutta Italia.
Il telegiornale dà subito la notizia, mentre i vigili del fuoco tentano di tenere sveglio il piccolo. Con il passare delle ore ci si rende conto che liberarlo è tutt’altro che facile, visto che i tradizionali mezzi di salvataggio si rivelano inutili.
Sul posto tecnici e speleologici, ma senza alcun esito. Allora si domanda l’aiuto di contorsionisti, nani, circensi, fantini: il risultato non cambia, tutti falliscono, risalendo in superficie con ferite, escoriazioni, ma senza Alfredo.
La tragedia di quel bambino intrappolato, solo, al buio, entra prepotentemente nelle case degli italiani diventando un vero caso mediatico, il primo della storia della televisione: la sera del 12 giugno 28 milioni di telespettatori restano incollati al video. Sul luogo si reca anche il presidente Pertini che con una cuffia prova a parlare con Alfredino.
Tra gli innumerevoli tentativi di salvare Alfredino Rampi, quello del 37enne Angelo Licheri, ex tipografo di origine sarda che, complice il suo fisico minuto da contorsionista, si impegna nella missione impossibile di andare a prendere il bimbo.
L’obiettivo è tentare di imbragare il piccolo e portarlo su. Licheri ci va vicinissimo, ma fallisce. Quando torna in superficie scoppia in un pianto dirotto. Da quell’esperienza Licheri non si riprenderà mai più.
Si cerca anche di scavare un pozzo parallelo per raggiungere più facilmente il bimbo, ma quanto più la trivella perfora il terreno, tanto più Alfredino sprofonda nel pozzo, sempre più esangue e disperato.
La situazione peggiora di ora in ora e ogni tentativo di salvataggio si spegne. Il fango all’interno del cunicolo, il terreno duro da penetrare, la confusione, l’impreparazione, la sfortuna, la fretta, tutto contribuisce ad ammettere la sconfitta.
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