Il racconto che conferma i dubbi. Coronavirus, l’ex deputato Mario Sberna: “Io salvo grazie all’ossigeno di un 84enne”.
Mario Sberna scoperchia una pentola che tutti conoscevamo ma che è rimasta a tacere perchè altrimenti troppe teste sarebbero saltate.
Non è neppure il caso di fare polemiche, ormai è risaputo quanto l’Italia non fosse pronta all’emergenza coronavirus nonostante se ne parlasse da fine dicembre.
E la mancanza di strutture e macchinari ha portato i medici – non i politici – a fare scelte drammatiche che si porteranno nella memoria per tutta la vita.
Se ne parlava in piena emergenza, con le solite smentite degli esperti che comparsavano in tv. Ma le parole dell’ex deputato Mario Sberna confermano il dramma: si doveva scegliere chi avesse il diritto di continuare a vivere, e chi no.
E a perderci, sono stati gli anziani. Trattati come ultime ruote del carro solo perchè in avanti con gli anni. Nessun rispetto per loro, per la loro storia, per le loro famiglie: era una scelta obbligata, a chi dare la colpa?
Il racconto di Sberna
“Lʼ11 marzo eravamo in trenta nella lavanderia del Civile adibita a reparto Covid. C’erano solo tre bombole d’ossigeno. Un inferno senza cibo e coperte, con un solo wc. Peggio di certi ospedali del Burundi”, ha raccontato Mario Sberna che è stato malato di coronavirus e ricoverato a Brescia.
“Sono salvo grazie alla bombola d’ossigeno tolta a un 84enne mantovano continua sul Corriere della sera – l’11 marzo eravamo in trenta nella lavanderia del Civile adibita a reparto Covid. C’erano solo tre bombole d’ossigeno.
L’odissea dell’ex deputato è iniziata il 7 marzo, quando sono comparsi i primi sintomi: “Mi bruciavano polmoni e gola, avevo la febbre a 39 e, nonostante le iniezioni di antibiotico, non miglioravo”. Su insistenza del medico, l’11 marzo, si è recato all’ospedale di Brescia, dove dice di aver vissuto “quattro giorni d’inferno”.
“Credevo di morire, di non rivedere più mia moglie e i miei cinque figli – aggiunge – Eravamo trenta malati e c’erano solo tre bombole d’ossigeno.
Vicino a me c’era un 84enne di Mantova attaccato al respiratore. Mi diceva che non vedeva l’ora di tornare a casa per cucinare il risotto con la salamella ai suoi nipoti. Una notte è peggiorato, l’hanno caricato su un’ambulanza e hanno dato a me la sua bombola“.
“Poi – aggiunge – ricordo il freddo cane: le porte erano sempre spalancate. ‘Deve circolare l’aria’ ci dicevano. Ma non avevamo coperte. Non c’era cibo. Passavano quei santi degli infermieri a darci un pacchetto di crackers, dei grissini o uno yogurt.
“C’era un solo bagno per tutti quei malati, molti dei quali avevano dissenteria e vomito, come me. Un bagno in condizioni vergognose anche in tempi di pace, figurarsi in tempi di Covid. Non hanno aggiunto nemmeno una toilette chimica”.
L’ex parlamentare sottolinea che non mette in dubbio l’impegno degli infermieri. La sua rabbia è piuttosto rivolta alla dirigenza dell’ospedale e a chi gestisce il sistema sanitario in Lombardia: “Servivano servizi aggiuntivi d’urgenza, che non sono stati garantiti”.
“Sono salvo solo grazie a una scelta terribile fatta dai sanitari: dare possibilità di sopravvivenza alle persone più giovani. Io ho 59 anni, l’anziano al mio fianco aveva un quarto di secolo in più”.
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