La severa pena per Valentino Talluto, reo di aver adescato diverse donne con metodi subdoli e di averle trasmesso l’Hiv
Quello contro Valentino Talluto è il primo processo in Italia di questo genere. Le indagini sono iniziate nel 2015, dopo 9 anni di crimini, per mezzo della denuncia di una vittima. Nel novembre dello stesso anno l’uomo è finito in carcere.
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Per lui la Procura di Roma aveva chiesto l’ergastolo e l’isolamento diurno per due anni. La ragione è che l’imputato avrebbe agito con malvagità, approfittando della fiducia e dell’ingenuità delle sue vittime, con l’unico scopo di farle del male.
Valentino Talluto condanna
Secondo l’accusa Talluto avrebbe volontariamente cercato le sue prede per infettarle a partire dal 2006, anno in cui il carnefice scopre di essere sieropositivo. Nonostante la richiesta dell’ergastolo dal parte dei pm, il 27 ottobre del 2017 l’imputato era stato condannato in primo grado a 24 anni di carcere. I giudici infatti lo avevano dichiarato colpevole del reato di lesioni gravissime ma non di epidemia dolosa. La pena poi è stata ridotta nel dicembre 2018 a 22 anni di carcere per lesioni gravissime con dolo eventuale, ma assolto per i quattro casi non ancora esaminati.
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Al commercialista di origini siciliane di 35 anni sono stati attribuiti circa 57 episodi. Tra questi, 32 sono stati fatali per la trasmissione del virus sia in maniera diretta che indiretta. I restanti 25 episodi, invece, sembrerebbero non essere stati colpiti dalle intenzioni del carnefice grazie alla presenza di anticorpi. Le vittime erano tutte molto giovani, per lo più si tratta di donne tra i venti e i trent’anni, anche se la più piccola aveva solo quattordici anni. Tra i contagi indiretti, invece, c’è un bambino di otto mesi nato da una delle donne contagiate, che incinta del marito ebbe una relazione con Talluto.
La Cassazione ha dunque confermato la condanna a 22 anni di carcere per Valentino Talluto, respingendo sia il ricorso dell’imputato ma anche quello del Pm che richiedeva l’ergastolo per il reato di epidemia. Secondo la Corte, mancherebbero infatti gli elementi del reato, considerando l’ampiezza del dato temporale e il numero delle persone contagiate cospicuo ma non ingente.