23 MAGGIO 1992: Giovanni Falcone è vittima di Cosa nostra insieme alla moglie Francesca Morvillo e ai tre uomini della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.
Giovanni Falcone, all’anagrafe Giovanni Salvatore Augusto Falcone, è stato vittima della mafia il 23 maggio di 28 anni fa. Fu ucciso in un attentato a Capaci insieme con la moglie Francesca Morvillo e ai tre uomini della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.
Oggi, nel giorno del suo ricordo, si alza la voce di un magistrato che ha conosciuto Falcone e ne è stato persino allievo: Nino di Matteo. L’uomo salito agli onori della cronaca per il botta e risposta con il minstro della giustizia Bonafede, sfoga la sua rabbia mescolata all’amarezza.
“Tanti ostacoli e ipocriti ma non si ferma la verità, anche Giovanni Falcone diventò facile bersaglio di ipocriti perbenisti. Molti di loro oggi fingono di onorare da morto quel giudice che, da vivo, insultavano e deridevano” – il messaggio inequivocabile del magistrato.
Nino Di Matteo è il magistrato più ‘protetto’ d’Italia. E’ sotto scorta da 27 anni e da dieci al massimo livello previsto. Palermitano, oggi al Csm, pubblico ministero che si occupa, da sempre, di indagini di mafia.
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A Caltanissetta ha indagato e sostenuto l’accusa nei processi sulla strage di via D’Amelio (24 ergastoli), sull’omicidio del giudice Antonino Saetta (3 ergastoli); ha riaperto le indagini sulla strage Chinnici (ottenendo 16 ergastoli) e si è occupato di molte delle principali inchieste sia a Palermo sia alla Procura nazionale antimafia.
Un personaggio che non piace alla mafia, tanto che Di Matteo non è ‘riuscito’ a diventare capo del Dap, nonostante Bonafede in un primo momento gli avesse aperto le porte del Dipartimento.
Il 23 maggio 1992 rappresentò nella vita di Nino Di Matteo “un vero e proprio spartiacque”, dice all’Agi: “Avevo vinto da poco il concorso, stavo facendo il tirocinio alla procura di Palermo, in attesa di prendere servizio in quella di Caltanissetta. Fui colto da un sentimento di irrefrenabile angoscia e disorientamento.
Giovanni Falcone per me, giovane studente che sognava di potere fare un giorno il magistrato, aveva rappresentato il modello di riferimento. Il simbolo della voglia di riscatto della mia terra e del mio popolo”.
Ricorda Di Matteo: “La sera del 23 maggio, mentre piangevo non avrei mai immaginato che, solo dopo pochi anni, mi sarei trovato a indagare e a sostenere l’accusa nei processi sulle stragi del 1992″.
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Anche Giovanni Falcone, ricorda Di Matteo, “diventò facile bersaglio di ipocriti perbenisti che lamentavano il fastidio che le misure di protezione di cui godeva il giudice arrecavano agli ‘onesti cittadini’. Molti di loro oggi fingono di onorare da morto quel giudice che, da vivo, insultavano e deridevano”.
Giovanni Falcone – conclude con rabbia Di Matteo – prima di essere ucciso a Capaci, venne ripetutamente ostacolato, isolato, delegittimato, anche da una parte importante delle istituzioni e della magistratura.
La verità è quella che, ancora oggi, dobbiamo coltivare e perseguire per dare un volto a chi, insieme ai mafiosi che sono stati individuati e condannati nei processi, ha probabilmente concepito, organizzato ed eseguito la strage”.
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