Secondo il sociologo Luca Ricolfi il Coronavirus è più grave di quanto si vuol fare credere. L’Italia rischia migliaia di morti
Luca Ricolfi è sociologo e professore ordinario di Analisi dei dati all’Università di Torino. Analizzando i dati ufficiali relativi al Coronavirus, ha espresso la sua visione della situazione attuale, nell’intervista con il quotidiano economico Italia Oggi.
Il noto sociologo si dimostra estremamente preoccupato e consiglia al Paese di fermarsi per contenere l’epidemia, altrimenti le ripercussioni saranno ben più gravi di una recessione economica. Basandosi sulle sue competenze statistiche, nelle simulazioni eseguite per la Fondazione Davide Hume di cui è presidente, i risultati sono inquietanti. Considerando gli attuali tassi di propagazione, se il virus non sarà contenuto con massicce misure restrittive, il numero dei decessi aumenterà a centinaia di migliaia di morti.
Il professore spiega il meccanismo che sta alla base delle sue allarmanti riflessioni: “Il calcolo si basa su due parametri, uno (relativamente) noto e l’altro ipotetico. Il parametro noto è che, su 100 infetti, ne muoiono 2 o 3. Questo dato, da solo, ci dice che, ove avessimo 8 milioni di infetti (come in una comune influenza), il numero di morti sarebbe compreso fra 160 e 240 mila. Il parametro ipotetico è invece il tasso di propagazione del virus, che dipende da tanti fattori e al momento non è noto, ma a mio parere è nettamente superiore a 2 o a 2.5 contagiati per ogni infettato”.
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Ricolfi valuta le possibili soluzioni e suggerisce al Paese di fermarsi un paio di mesi per contenere l’espansione del virus
L’accademico non risparmia una frecciatina al governo Conte e dichiara: “Se anziché straparlare di numero eccessivo di tamponi il governo avesse seguito il saggio consiglio del virologo Roberto Burioni di moltiplicarli, prevedendoli per chiunque abbia anche solo 37 gradi e mezzo di febbre, oggi la progressione del contagio sarebbe sensibilmente più lenta, e avremmo qualche speranza di fermarlo”.
Per Ricolfi vi è anche una discrepanza tra numero di contagi al Nord e al Sud e le ragioni, secondo la sua riflessioni, sono le seguenti: “Penso che l’esplosione dei contagi al Nord sia dovuta a due fattori distinti. Il primo è il caso, ossia che il Nord abbia avuto un paziente super-spreader (ultra-capace di infettare), che da solo ha dato luogo a una catena di contagi molto vasta, favorita dai protocolli seguiti nell’ospedale di Codogno, che per quel che ne so erano quelli vigenti, anche se inadeguati. Il secondo, decisivo, fattore è che sono tutte del Nord le regioni più produttive e internazionalizzate del Paese, ossia Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Io ho fatto calcoli separati per la propagazione al Nord e al Sud e, allo stato attuale dell’informazione disponibile mi risulta che la velocità di propagazione sia analoga”.
In conclusione, per il celebre sociologo la soluzione è soltanto una: “Se ci fermiamo per un paio di mesi e ci occupiamo solo di salvare la pelle, forse potremmo uscirne con una semplice recessione, più o meno come nel 2008. Se invece ci intestardiamo a far ripartire l’economia subito – ha aggiunto – potrebbe essere la catastrofe. Che a quel punto non si misura sui punti di Pil perduti ma, come in guerra, sul numero di morti“.