In attesa di capire quale sarà la situazione delle pensioni, la CGIL ha fatto una serie di esperimenti per spiegare quanto perdono i soggetti che lasciano prima dell’età pensionabile
Il tema pensioni tiene banco in questi primi mesi del 2020. Ricalcolo, blocco delle indicizzazioni e il clamoroso errore dell’Inps sulle pensioni di gennaio, sono le tematiche più in auge in tal senso.
In attesa di capire come il Governo agirà per risolvere la situazione del ricalcolo dell’importo del metodo contributivo delle pensioni per coloro che decidono di uscire prima, la Cgil ha fatto degli esperimenti che hanno evidenziato delle sproporzioni evidenti per coloro che decidono di uscire in anticipo dal mondo del lavoro. I risultati sono curiosi e al tempo stesso allarmanti. Nonostante non si tratti di nulla di ufficiale non fanno altro che alimentare i malumori rispetto a questa situazione.
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Sono stati presi in esame i casi dell’Opzione donna (uscita anticipata e calcolo interamente contributivo) e del sistema misto (meno di 18 anni di contributi alla fine del 1995). Sono stati messi alla luce tutti gli svantaggi per il cittadino e al contrario i vantaggi per lo stato.
Nel caso di lavoratori con una carriera piatta e 23.000 euro annui di guadagni e che hanno versato i contributi per 36 anni (16 nel retributivo), la pensione netta sarà di 732 netti con una perdita di circa il 23%. Nel caso in cui invece si sia prestato il servizio lavorativo per 30 anni, versato i relativi contributi (di cui 10 nel retributivo) e raggiunto i 64 anni, l’assegno lordo è di appena 687 euro.
Non è migliore il quadro per coloro che hanno avuto una carriera più dinamica e 30000 euro di retribuzione annua. Con i medesimi parametri sopracitati nel primo caso (64 anni di età, 36 di contributi di cui 16 nel retributivo) con il calcolo interamente contributivo la pensione netta dell’individuo si attesterebbe sui 930 euro netti. Nel caso di 33 anni di contributi versati di cui 10 nel retributivo la pensione netta sarebbe di 895 anziché 1210).
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