L’Antitrust indaga, a tremare è il colosso Facebook. Potrebbe arrivare una multa altissima, c’entra anche la raccolta a fini commerciali dei dati
L’Antitrust indaga per una falla lasciata da Facebook a proprio rischio e pericolo, riguardante l’omissione di adeguata informativa in sede di registrazione al social network, a proposito della raccolta e dell’uso con fini commerciali, dei dati degli utenti. Pessime notizie per il colosso social, che difficilmente riuscirà ad aver ragione per questa causa, che potrebbe costargli fino a cinque milioni di euro.
Secondo le dichiarazioni rilasciate dall’Antitrust, le indagini avevano portato ad accertare la scorrettezza della pratica commerciale di omessa adeguata informativa per utenti e consumatori, in sede di registrazione al social network, già nel novembre 2018. Facebook avrebbe enfatizzato la gratuità di un servizio senza, come avrebbe dovuto, fare cenno alle finalità remunerative derivanti dalla raccolta dati per fini commericali.
Cattive notizie quindi per Facebook, dopo la decisione di un importante cambiamento che potrebbe reclutare molti nuovi clienti.
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La conseguenza di tale atto, è quella quindi, secondo l’Antitrust, di indurre gli utenti a prendere a loro insaputa, una condizione commerciale, che se informati, avrebbero potuto non accettare. Tale decisione era fondata sulla valutazione che il patrimonio informativo dei dati degli utenti del social network, potesse costituire di per sé un contratto di consumo, anche in assenza di un corrispettivo economico. Il processo di inottemperanza nei confronti di Facebook, avviato quindi dall’Antitrust è stato effettuato per non aver attuato quanto richiesto dall’Autorità il 29 novembre 2018.
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Oltre alla multa di 5 milioni di euro, l’Autorità ha anche vietato l’ulteriore diffusione della pratica ingannevole ed ordinato alla società la pubblicazione di una dichiarazione rettificativa nella prima pagina del sito aziendale per l’Italia, sulla App di Facebook, ed anche sulla pagina personale di ogni utente italiano registrato. Secondo l’Antitrust però, il problema non è ancora del tutto risolto, anche se ufficialmente la scritta sulla gratuità del servizio è stata rimossa.
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