Una scena atroce sulla spiaggia di Luskentyre, isola di Harris, in Scozia. Oltre alla morte del cetaceo, nel suo stomaco cento chili di immondizia.
Sacchetti di plastica, reti da pesca, corde e bicchieri: in tutto 100 chili di spazzatura nello stomaco del capodoglio stato trovato morto sulla spiaggia dell’isola di Harris, in Scozia.
“Tutto il materiale componeva una palla di rifiuti” hanno detto i ricercatori dello Scottish Mareine Animal Standing Scheme, “che probabilmente ha ostruito la digestione e il funzionamento dell’intestino. Ciò dimostra, ancora una volta, cosa può provocare l’inquinamento dei mari”.
Si trattava di un giovane capodoglio maschio e non presentava particolari segni di deperimento.
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Quando i veterinari hanno infilato il coltello nella pancia del cetaceo per eseguire l’esame necroscopico, il suo addome è letteralmente esploso, facendo fuoriuscire oltre alle viscere anche il raccapricciante contenuto dello stomaco.
Anche se all’esterno la temperatura era vicina allo zero, il corpo del capodoglio come di tutti i cetacei simili era ancora caldo, a causa dell’eccezionale isolamento termico dovuto al grasso e alla pelle.
Questo porta ad un acceleramento del processo di decomposizione dopo la morte, motivo per cui si crea un accumulo di gas post mortem che ha portato all’esplosione del mammifero marino subito dopo l’inserimento del coltello da parte dei veterinari accorsi sul posto.
Poiché non era possibile spostare il cetaceo di 20 tonnellate, dopo l’esame necroscopico le autorità hanno deciso di seppellirlo direttamente sulla spiaggia dove è stato trovato.
Purtroppo non è stato il primo e non sarà l’ultimo cetaceo ucciso dalla plastica che gettiamo costantemente nei mari e negli oceani; negli ultimi mesi sono stati molti i capodogli trovati morti con ingenti quantità di spazzatura nello stomaco.
I capodogli, in particolare, mangiano rifiuti plastici poiché sono convinti che si tratti delle loro prede naturali, ossia i calamari.
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I rifiuti sono una delle principali minacce agli ecosistemi marini e rappresentano un rischio crescente alla biodiversità, l’ambiente, l’economia e la salute. Li chiamiamo rifiuti ‘marini’, ma in gran parte arrivano da terra, da discariche abusive e da pratiche di smaltimento scorrette. Nonchè dall’assenza di depuratori adeguati.
Molti, infine, li generiamo proprio noi con le attività ricreative, turistiche e la pesca professionale.
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