Era il 28 ottobre del 1979 quando Vincenzo Paparelli fu colpito da un razzo durante il derby della Capitale Roma-Lazio. Da allora il calcio è cambiato profondamente e la violenza è diventata sempre più comune
Sono già passati 40 anni dall’incidente che ha portato via durante la stracittadina romana il tifoso della Lazio Vincenzo Paparelli. Un uomo di 33 anni, che quel giorno ha avuto “la colpa” di essere al posto sbagliato al momento sbagliato. Mentre mangiava un panino seduto accanto alla moglie Vanda Del Pinto, fu colpito al volto da un razzo paracadute di tipo nautico lanciato dalla curva sud da Giovanni Fiorillo, 18enne sostenitore romanista. Vani furono i tentativi di soccorso e la corsa in ospedale. Poco dopo Vincenzo si spense, lasciando anche il figlio Gabriele, che ai tempi aveva appena 8 anni.
E pensare che quel giorno non doveva nemmeno esserci allo stadio. Si fece infatti prestare l’abbonamento dal fratello pur assistere a quella “maledetta partita”.
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Una sorta di episodio apripista, che ha creato ancora più dissapori non solo tra laziali e romanisti, ma in generale nel mondo del calcio. Hanno fatto seguito infatti altri decessi di tifosi su tutti quelli di Antonio De Falchi, Vincenzo Spagnolo, Antonio Currò, Sergio Ercolano, Gabriele Sandri, Matteo Bagnaresi, Ciro Esposito e Daniele Belardinelli.
Pagine nerissime dello sport più amato nel Bel Paese che ciclicamente si è ritrovato a fare i conti con queste spiacevoli situazioni. Nonostante questi continui spargimenti di sangue, nella città Eterna, l’immagine di Paparelli è stata infangata in maniera indegna, senza che nessuno proferisse parola.
Gabriele, figlio del compianto Vincenzo, si è trovato costretto ad andare in giro con una bomboletta spray per cancellare le scritte ingiuriose che di volta in volta si ritrovava sui muri di Roma. Si è dovuto far carico del dolore della madre, che giustamente non riusciva a concepire queste offese becere. A sua figlia invece, ha spiegato che il nonno è follemente amato dai tifosi della Lazio, per questo ogni domenica c’è una sua bandiera in curva nord (che non ha mai smesso di ricordalo). Almeno per ora, è meglio non raccontarle la verità e farla crescere in maniera spensierata, come è giusto che sia.
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