La Cina non rinuncia all’uso della forza militare per riunificare al resto del Paese l’isola di Taiwan che da sempre considera una propria provincia ribelle
Non solo la guerra commerciale con gli Stati Uniti di Trump e le proteste che da settimane riempiono le strade e le piazze di Hong Kong di manifestanti che chiedono le dimissioni della governatrice filocinese Carrie Lam per il tentativo di far approvare la controversa legge sulle estradizioni in Cina: tra le priorità dell’agenda geopolitica di Pechino figura anche la riunificazione con la madrepatria cinese di Taiwan. L’ex isola Formosa, così ribattezzata dai primi spagnoli che vi approdarono per la sua lussureggiante vegetazione, dove trovarono riparo Chiang Kai-shek ed i suoi fedelissimi dopo il trionfo della fazione comunista guidata da Mao Zedong nella guerra civile cinese, da sempre è considerata da Pechino una provincia ribelle, quindi parte del territorio soggetto alla propria sovranità. Finora l’approccio delle autorità cinesi, complice l’appoggio garantito dagli Usa a Taiwan, sancito dal Taiwan Relations Act, in base al quale gli Usa forniscono a Taiwan ingenti quantitativi di armi e supporto alla formazione e all’addestramento delle forze armate, è sempre stato soft evitando, quindi, prove di forza che potessero compromettere le relazioni bilaterali con gli Usa per riunificare l’isola di Taiwan al resto del Paese. Oggi, però, lo scenario è cambiato e lo dimostra il nuovo indirizzo strategico di Pechino in virtù del quale il gigante asiatico non esclude l’uso della forza per riunificare Taiwan con la terraferma.
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Il cambio di rotta nelle complicate relazioni con Taiwan è stato ufficializzato con la pubblicazione del Libro Bianco sulla Difesa Nazionale in cui Pechino ha elencato tra le proprie massime priorità la volontà di contenere “l‘indipendenza di Taiwan” anche attraverso il ricorso a tutte le misure militari che si rivelassero necessarie in modo da sconfiggere i “separatisti” includendo in tale definizione anche le forze separatiste in Tibet e nella regione dell’estremo ovest del Xinjiang dove vivono gli uiguri, turcofoni di religione islamica, già sottoposti ad un massiccio programma di cinesizzazione forzata rappresentando la maggioranza relativa della regione.
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