Trent’anni fa, in Cina, veniva stroncata nel sangue la rivolta di Piazza Tienanmen: tuttora imprecisato il numero delle vittime e degli arrestati
La traduzione degli ideogrammi che compongono il termine Tienanmen è ” Piazza della Pace Celeste “. Ma di irenico in quel 4 giugno del 1989, esattamente 30 anni fa, non ci fu nulla. Violentissima fu la repressione da parte del regime comunista mentre perdura la censura da parte delle autorità di Pechino su quei drammatici eventi: imprecisato è, infatti, il numero delle vittime, dei feriti e degli arrestati tra gli studenti, gli intellettuali e gli operai che scesero in piazza per chiedere libertà e democrazia. Le proteste ebbero inizio il 15 aprile in seguito al cordoglio per la morte per arresto cardiaco dell’allora segretario del Partito Comunista Cinese Hu Yaobang, molto apprezzato tra i riformisti, e si protrassero fino al 4 giugno quando fecero irruzione in Piazza Tienanmen i carri armati per soffocare in un bagno di sangue l’anelito di libertà degli studenti cinesi. Vera icona di quella ribellione, conosciuta in Occidente come Primavera Democratica cinese e che fece da sprone per quei movimenti libertari che sul finire di quel fatidico 1989 avrebbero travolto i regimi comunisti dei c.d. Paesi satelliti dell’ex Unione Sovietica, fu il Rivoltoso Sconosciuto, l’uomo in camicia bianca ed armato solo di una borsa che si parò davanti alla colonna dei carri armati per fermarne la marcia: la celeberrima foto che lo ritrae è diventata nel corso degli anni un simbolo della lotta per la libertà ed il rispetto dei diritti umani che neanche una brutale violenza può reprimere.
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Il trentennale della repressione delle proteste di Piazza Tienanmen rischia di alzare alle stelle la tensione tra Usa e Cina, già ai ferri corti a causa della guerra commerciale a colpi di reciproci incrementi dei dazi. Il segretario di Stato statunitense Mike Pompeo è, infatti, entrato a gamba tesa ricordando ieri, alla vigilia del trentennale, che gli Usa “onorano l’eroico movimento di protesta del popolo cinese” ed invitano il governo di Pechino “a rendere completamente e pubblicamente conto di quelli uccisi o scomparsi per dare conforto alle molte vittime di questo oscuro capitolo della storia, aggiungendo che le speranze di una società più aperta e tollerante in Cina “sono svanite”. Immediata e stizzita la replica di Pechino che ha tacciato Pompeo di arroganza oltre a bollare il suo affondo, con il pretesto dei diritti umani, “un affronto al popolo cinese e una grave violazione del diritto internazionale” per la grossolana ingerenza negli affari interni della Cina.
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